Regia di Stefano Chiantini
Produzione: ITA 2008 Mediafilm
Sceneggiatura: Stefano Chiantini, Rocco Papaleo
Fotografia: Giulio Pietromarchi
Scenografie:
Montaggio: Cristina Flamini
Musiche: Piernicola Di Muro
Genere: Commedia, Drammatico
Con: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi, Rocco Papaleo
Durata: 84'
Martina (Giovanna Mezzogiorno) è un’assistente di volo, durante un turno di lavoro s’imbatte in Angelo (Alessandro Tiberi),un ragazzo che ha paura di volare, che lascia un diario d’amore sul suo sedile. Il diario parla della loro storia, perché i due si conoscono, sono dello stesso paese e si amano,e lei si abbandona a quelle parole prima di riconsegnarlo, affrontando tutti i fantasmi e le incertezze di quella relazione così incostante, resa difficile ancor di più dalla “presenza” ingombrante del padre di lui (Rocco Papaleo),e dalle esuberanze del patrigno di lei (Alessandro Haber).
Il film del giovane regista abruzzese Stefano Chiantini, ambientato nella regione natìa racconta una storia d’amore sofferta soffermandosi sulla componente psicologica e sociale, che spesso riesce a compromettere le ambizioni e la sincerità di un sentimento, che come suggerisce il titolo a volte non basta.
E’ un film coraggioso, che ha il merito di cercare una linea originale, dando spessore ai personaggi, raccontandoli fino ad un certo punto per poi lasciare aperti spiragli allo spettatore, che narra con piglio leggero e intimo il continuo cercarsi, sfiorarsi e poi perdersi tra due ragazzi alla prese con le difficoltà e la precarietà delle loro vite.
E’ un film diverso, rispetto le storie d’amore convenzionali raccontante sul grande schermo, e per questo forse meno fruibile, ma più intenso, perché offre un punto di vista introspettivo, ermetico su una vicenda complessa e attuale.
Bravi gli attori, su tutti una splendida Mezzogiorno, che riesce a miscelare la fragilità travestita da sicurezza del suo personaggio, attestandosi anche in queste piccole produzioni, come una delle migliori attrici della scena nazionale e non solo.
Chiantini ci regala una poesia trasposta su pellicola, nell’impervio compito di raccontare per immagini gli stati d’animo che albergano in ognuno di noi, condendo il tutto con simbolismi e romanticherie in bilico tra dramma e commedia, mai banali, senza soffermarsi su un baricentro emozionale, ma dando respiro alla storia concentrandosi sui volti dei personaggi, assunti a veri paesaggi del film.
VOTO 7
Intervista al regista Stefano Chiantini
Stefano partiamo innanzitutto dal tuo percorso umano ed artistico, in che modo ti sei accostato al cinema, come sei riuscito a coltivare questa passione e cosa ti ha spinto ad indirizzarti proprio sulla regia?
La passione per il cinema l’ho avuta da sempre. Quando mi sono trasferito a Roma per studiare – mi sono laureato in lettere e filosofia – ho frequentato dei corsi di sceneggiatura. Le storie che ho scritto in quei corsi hanno suscitato l’interesse degli insegnanti che mi hanno spinto a portarle in giro dai produttori, e così è partito tutto.
Ho scelto di occuparmi della regia perché quello che racconto è molto particolare, nel bene o nel male è molto autoriale, legato al mio modo di vedere le cose, ed è questo un po’ il mio limite ed il mio pregio al tempo stesso. Quello che mi hanno sempre rimproverato, anche nelle scuole di cinema, è di scrivere bene solo ciò che voglio e che mi appartiene, in questo sono molto regista e poco sceneggiatore.
Il pubblico ti ha conosciuto ed apprezzato con il tuo ultimo film L’amore non basta - uscito nelle nostre sale l’aprile scorso - tra i quali figuravano alcuni attori italiani di prim’ordine come Giovanna Mezzogiorno, Rocco Papaleo ed Alessandro Haber, ma non rappresenta il tuo esordio, bensì il tuo terzo lungometraggio. C’è una poetica o una sensibilità che accomuna i tuoi film? E quanto di autobiografico finisce c’è nelle tue storie?
Come ti dicevo prima c’è un modo di vedere le cose che è molto mio. Mi piace la sospensione, in un certo senso la precarietà dello sguardo, il non prendere posizione e questo è presente in tutti i miei lavori. A me poi piace raccontare uno spaccato di vita e non storie che iniziano e finiscono, insomma non m’interessa uno sviluppo drammaturgico lineare causa ed effetto, ma più atmosfere e sensazioni.
Ad esempio quando scelgo un soggetto, o meglio quando un soggetto sceglie me, spesso ad influenzarmi è un’atmosfera, una frase, uno sguardo…da lì poi parto per costruire i personaggi e la storia che ruota attorno ad essi. Difficilmente quindi parto da una storia.
Il film è girato in Abruzzo, il posto in cui sei nato e cresciuto, quanto c’è della tua terra nelle tue opere?
La mia terra m’influenza molto, com’è naturale che sia; la porto sempre con me, la conosco e questo mi aiuta tantissimo. Mi muovo meglio nel mio territorio, un territorio materiale e spirituale, ed è qui che riesco a trovare le mie atmosfere, i personaggi giusti, le verità che cerco. La mia terra mi fa sembrare tutto più reale e concreto e mi allontana dal vuoto e l’effimero che anima un certo tipo di cinema.
Ci racconti qualche aneddoto divertente legato alle riprese del film?
La cosa più divertente è che ogni volta che arrivavo sul set trovavo difficoltà ad entrare all’ingresso, specie quando andavo da solo: nessuno mi prendeva per il regista del film, sai sono molto giovane e quindi spesso mi bloccavano. Una volta una ragazza è venuta a chiedermi come mai tutti gli attori parlavano con me che ero solo una comparsa. Ho dovuto spiegarle che ero il regista ed è stato complicato perché non ci credeva.
Quali sono i film che ami di più ed i registi che apprezzi maggiormente ai quali ti ispiri in un certo senso?
Diciamo che ci sono momenti in cui amo un certo tipo di film ed alcuni registi, non ho preferenze o canoni fissi, piuttosto sono influenzato dagli stati d’animo del momento.
Amo le pellicole che mi emozionano ed a farlo non sono sempre gli stessi film; ad ogni modo attualmente apprezzo molto il cinema di Kaurismaki, di Wong Kar-Wai, di Matteo Garrone ed i fratelli Dardenne.
Tra i miei preferiti da sempre invece posso annoverare Federico Fellini, Tarkowskij, Bunuel, Kusturiça, Antonioni..
A tuo avviso qual è il maggior pregio ed il peggior difetto del cinema italiano?
Il difetto peggiore del cinema italiano è rappresentato dal fatto che tutti vogliono fare tutto, ed ha coinvolto anche me inizialmente, ma ora spero di averlo superato. Il cinema è collaborazione, è partecipazione, e bisogna lasciare spazio a chi ti aiuta; si deve lasciare che sia lo sceneggiatore a scrivere la storia, ed auspicare il ritorno ai mestieri del cinema.
Il pregio invece è che abbiamo una grande scuola pratica e teorica, ossia non ci limitiamo ad essere dei tecnici ma c’è anche un approccio teorico che secondo me è necessario.
Come sarà il tuo prossimo lavoro e di cosa parlerà?
Il mio prossimo film vedremo, intanto lo sto scrivendo assieme a Massimo Gaudioso, che ha sceneggiato Gomorra ed altri film, e Giovanni Miniati, un giovane molto bravo e promettente.
Infine una curiosità personale, ma che è di tanti, leggendo sulle dinamiche che hanno portato alla scelta finale del titolo abbastanza particolari e legate soprattutto ad esigenze distributive, volevo sapere da te se avessi potuto scegliere liberamente un altro titolo, quale sarebbe stato?
Riguardo alla tua curiosità posso dirti che a me piaceva molto Lo stato delle cose ma è un film di Wim Wenders, altrimenti lo avrei voluto chiamare semplicemente Io e te.
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