lunedì 27 settembre 2010

Fratelli in erba


Regia di Tim Blake Nelson

Produzione: USA 2010 Eagles Pictures

Sceneggiatura: Tim Blake Nelson

Fotografia: Roberto Schaefer

Scenografie: Maria Nay

Musiche: Jeff Danna

Genere: Drammatico

Con: Edward Norton, Tim Blake Nelson, Susan Sarandon

Durata: 105’




Bill e Brady sono due gemelli identici nell'aspetto ma quanto più possibile diversi nella sostanza. Entrambi educati da una madre sessantottina e orfani di padre, affrontano la vita con due diverse concezioni e stili di vita. Brady rimane con la madre in Oklahoma, diventando un coltivatore di marijuana, mentre Bill intraprende la carriera universitaria come brillante professore di filosofia classica, obliando nel cassetto dei ricordi e senza troppi rimorsi la propria famiglia. Quando Bill riceverà la notizia della morte del fratello si troverà costretto a tornare a Little Dixie, il paese natìo dove dovrà confrontarsi con il proprio passato ed i suoi cari.


Tutto fa presagire ad una classica commedia degli equivoci, a partire dal titolo storpiatamente tradotto dall'originale Leaves of grass che sta sì per “foglie d'erba” ma allude al titolo di una raccolta di Walt Whitman, e proseguendo con il doppio ruolo in cui Edward Norton si cimenta, topos classico di tanto cinema che farebbe pensare ad una serie infinta di gag e situazioni paradossali, ed in un certo senso è così ma il film di Tim Blake Nelson mira più in alto. Infatti se la prima parte sembra confermare le impressioni iniziali, nel proseguio il tono da commedia si sporca sorprendentemente di noir di matrice tarantiniana e dalle atmosfere tipicamente coheniane.

Uno dei pregi di questa pellicola oltre al ritmo sincopato che coinvolge lo spettatore è rappresentato dall'ottimo cast in cui figurano la sempreverde Susan Sarandon nel ruolo della madre ex sessantottina, l'affascinante Keri Russel nei panni di una poetessa e l'irresistibile Richard Dreyfuss, lui che è ebreo sul serio, si diverte nella parte di un ebreo stereotipato. Lo stesso regista si ritaglia un ruolo interessante, interpretando Bolger uno dei migliori amici del fratello coltivatore.


La ricerca dell'equilibrio è la chiave di lettura dell'intera pellicola - tra Socrate e Whitman, tra caos e spontaneità, commedia e tragedia e la perenne ricerca della condizione di pace interiore e la sua natura illusoria - dando modo al regista di giocare con le aspettative degli spettatori mirando a spiazzarli innestando una serie di colpi di scena memorabili, farciti con dialoghi che spaziano dalla filosofia, alle droghe, alla poesia fino al non-sense.

Un piccolo film ambizioso che deve forse fin troppo alla sottile ironia ebraica di cui i fratelli Cohen sono i maggiori esponenti ma che riesce a ricavarsi uno scorcio di originalità fresca e ben costruita che non soffoca la pellicola evitando di farla cadere nel facile clichè del genere.


VOTO 6,5

mercoledì 22 settembre 2010

La solitudine dei numeri primi


Regia di Saverio Costanzo

Produzione: ITA 2010 Medusa

Sceneggiatura: Saverio Costanzo, Paolo Giordano

Fotografia: Fabio Cianchetti

Scenografie: Antonello Geleng

Musiche: Mike Patton

Genere: Drammatico

Con: Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Isabella Rossellini

Durata: 118’




Alice e Mattia, due coetanei le cui esperienze tragiche vissute nell'infanzia producono un trauma che non li abbandonerà mai, influenzando in modo pesante e permanente le loro vite. Potrebbero amarsi, si sfiorano e si separano. Non consentono a se stessi di ritrovarsi ed insieme concedersi ciò che si sono sempre vietati ed inflitti. Come due numeri primi sono divisibili solo per uno o per se stessi e quindi destinati alla solitudine.

Saverio Costanzo (Private / In memoria di me) porta in concorso a Venezia l'attesa trasposizione cinematografica del celebre romanzo d'esordio di Paolo Giordano (che partecipa alla sceneggiatura) - caso letterario del 2008 con più di un milione di copie vendute, nonché premio Strega e Campiello - ma sin da subito se ne discosta dalle atmosfere e nella materia portante, destrutturandolo a partire dalla linearità narrativa che si alterna con continui salti temporali incentrati su tre periodi fondamentali delle vite grevi di Alice e Mattia.

La cifra stilistica adottata da Costanzo è netta e coraggiosa, una vicenda sentimentale tinteggiata di horror che s'innesta sin dalle prime battute - evidenziata da una colonna sonora curata da Mike Patton e sottolineata con una grafica ridondante - che sembra alludere a certe tensioni tipiche dei film di Dario Argento. Lo sguardo del regista si concentra sui corpi, deturpati e feriti, che mutano e e si plasmano in base al loro dolore, assurgendoli a veri protagonisti della vicenda, interpretati da una stupefacente Alba Rohrwacher e la sorpresa Luca Marinelli che imprimono sui loro corpi le fatiche di esigenze di copione estreme, donando veridicità assoluta ai loro personaggi.

Appare inevitabile che un autore così perentorio, con uno stile aspro e antinaturalistico che bandisce ogni sfumatura renda la pellicola estrema, cozzando con la materia scottante della popolarità del romanzo e ne risulti indebolita. Dall'altro canto le soluzioni adottate dal regista romano risultano affascinanti e farcite con dosi massicce di pathos e suspance che imprimono alla pellicola un sapore evocativo barocco e attraente, ma tutto rimane soffocato e imprigionato nella ricerca autoriale ed originale quasi ossessiva, finendo per implodere in se stesso.

Data la sua scelta di campo perentoria e precisa che deve far i conti con il peso specifico di una vicenda letteraria tanto amata, il film è destinato a dividere. L'abilità registica di Costanzo è palpabile e non ne esce intaccata, con angolazioni atipiche su tonalità cupe, impreziosite da stacchi netti e commenti sonori magistrali, ma viene sommersa dalla complessità psicologica del romanzo e dalla sua carica emotiva che si disperde lungo il racconto cinematografico discostandosene inesorabilmente.


VOTO 6









venerdì 3 settembre 2010

The Box



Regia di Richard Kelly

Produzione: USA 2009 Lucky Red

Sceneggiatura: Richard Kelly

Fotografia: Steven Poster

Scenografie: Alexander Hammond

Musiche: Owen Pallett

Genere: Thriller

Con: Cameron Diaz, James Mardsen, Frak Langella

Durata: 115’




USA, Virginia 1976. I coniugi Lewis si trovano in difficoltà economiche ma hanno la possibilità di ovviare ai loro problemi grazie ad una strana scatola consegnata il giorno prima da uno sconosciuto con il volto sfigurato, il signor Edwards. Lo strano individuo offre alla coppia un milione di dollari nel caso in cui nel giro di ventiquattro ore decidessero di premere il pulsante posto sulla scatola, conseguentemente però una persona a loro sconosciuta, nel mondo, morirà. In caso contrario, avrebbero solamente 100 dollari come rimborso per il disturbo recato, e la scatola verrebbe riprogrammata e proposta altrove.


Il talentuoso Richard Kelly, autore del film cult degli anni zero Donnie Darko, dopo l'ambizioso e deludente Southland Tales, flop al botteghino ed uscito solo in dvd da noi, ci riprova adattando per il grande schermo un racconto breve del geniale autore e sceneggiatore Richard Mateson, autore di quel Io sono leggenda trasposto al cinema qualche anno fa con protagonista Will Smith. Lo stesso script dell'autore è stato proposto negli anni 80 per il piccolo schermo nella famosa serie Ai confini della realtà. Kelly cerca di far sue le atmsofere paranoiche e claustrofobiche tipiche di Matheson - acuto e cinico indagatore dei limiti della morale e avidità umana- ma con scarsi risultati. L'impianto narrativo regge solo nella prima parte della pellicola, per poi perdere completamente il controllo successivamente ed impantanarsi infine in un pasticcio incomprensibile e patetico collocandosi a metà tra cinema di genere e film d'autore.

La qualità delle inquadrature è indiscutibile, ottime le scenografie e l'inquietante colonna sonora. A mancare qui non è certo l'impalcatura tecnica ma l'omogeneità narrativa che, noncurante della consequenzialità e logicità della storia, snatura e stravolge completamente l'intento dell'opera originale di Matheson, sfociando in grottesche scimmiottature alla Lynch, brancolando e barcollando in un accumulo di situazioni e stereotipi da fantascienza retrò, infarcendoli con discorsi filosofici sul libero arbitrio ed etica, tirando in causa persino Arthur C. Clarke e Jean Paul Sartre. Non aiutano e convincono oltremodo le interpretazioni degli impalpabili Cameron Diaz e James Marsden, e tocca al solito Frank Langella reggere la baracca recitativa.

Il plot narrativo viene risucchiato nella spirale della confusione e della noia, sprecando quanto di buono l'incipit aveva creato, con un occhio rivolto a certi film horror di culto anni 70. D'altronde la materia trattata si è rivelata nuovamente troppo ambiziosa e ricca di elementi, sfuggendo completamente al controllo del giovane regista americano che cerca di impreziosire con un lezioso egocentrismo autoriale che alla lunga stanca ed irrita. Ulteriore banco di prova mancato per uno dei più promettenti enfant prodige del nuovo cinema americano.


VOTO 5 Inconcludente