mercoledì 31 luglio 2013

Le serie tv da non perdere 2013

DOWNTOWN ABBEY
Serie televisiva dell'anno, vincitrice di 6 Emmy Awards e un Golden Globes come miglior mini-serie è uno dei fenomeni seriali degli ultimi tempi. Una produzione anglo-americana in costume ambientata agli inizi del novecento durante la fine dell'età edoardiana nella fittizia tenuta nello Yorkshire che dà il titolo all'opera. Ascolti alle stelle per le sue puntate, scrittura raffinata e attori eccelsi per uno show che dal 2011 è nel Guinnes dei primati come show dell'anno più acclamato dalla critica e nel 2012 diviene la serie non americana ad ottenere più nomination agli Emmy award, ossia gli oscar televisivi. Decisamente imperdibile.



SHAMELESS
Basata sull'omonima serie originale inglese che narra le vicende di una disastrata famiglia della periferia di Chicago composta dal padre alcolizzato Frank (interpretato da un divino William H. Macy) ed i sei figli dei quali la maggiore, Fiona si prende cura di tutti. Sceneggiatura notevole, piena di ritmo, politicamente scorretta e dotata di un insolito umorismo ed ottimismo di fondo è una di quelle serie imperdibili che vi farà appassionare alle disavventure di questa famiglia disfunzionale che imparerete ad amare.

SHERLOCK
Una mini serie da tre puntate di novanta minuti circa, come dei film in pratica la cui terza stagione confermatissima è anch'essa in lavorazione. Versione adattata ai giorni nostri dei romanzi di sir Conan Doyle sul famoso investigatore Sherlock Holmes ed il suo assistente, il dottor Watson interpretati da due attori divenuti ora delle celebrità come il perfetto Benedict Cumberbatch (villain di successo nell'ultimo Star Trek) e Martin Freeman (il Bilbo Baggins della nuova trilogia di Peter Jackson, Lo Hobbit). Una serie arguta e priva d'imperfezioni che vi farà amare la cura dei dettagli.


BLACK MIRROR
La mini serie perfetta. Ogni stagione composta da tre episodi (la terza stagione è in fasi di lavorazione) ed ogni episodio ha trama e cast differenti. Unico comune denominatore è la tecnologia, lo schermo nero (il black mirror del titolo) dei telefoni, tv, computer e tablet. Gli effetti del progredire della tecnologia e dei media nelle nostre vite ed i suoi effetti nefasti in storie difficili da dimenticare. Bastano pochi minuti della prima puntata per farvi urlare al capolavoro. Vedere per credere.

martedì 16 luglio 2013

La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino
Produzione:  ITA 2012 Indigo Filmm Medusa Films
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino Umberto Contarello
Fotografia: Luca Bigazzi
Musiche: Lele Marchitelli
Montaggio: Cristiano Travagliolo
Con: Tony Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso

Durata: 150’









Erano tante le aspettative sul nuovo chiacchieratissimo film di Paolo Sorrentino, talentuoso artista piuttosto che mero regista, qui alla prova più ambiziosa e pretenziosa in concorso al festival di Cannes. Questa volta torna dalla Croisette a mani vuote e nessuna menzione ma subito riscattato al botteghino in cui risulta il suo film più visto di sempre.

Difficile recensire un’opera (più che un film) così ridondante, ammaliante, pregna, mistica e per certi versi metafisica persino. Tanta (troppa?) roba sul fuoco, ma siamo dalle parti del grande Cinema quello con la C maiuscola, che s’intravede sin dalla prima inquadratura, introdotto dalle celebri carrellate tanto care e imprescindibili al regista napoletano.
Una Roma ricca eppure vuota, un vuoto che porta un assenza di senso, come pure i personaggi che si agitano dentro il suo ventre e faticano a trovare un senso nelle cose.
Un corpo martoriato eppure splendido quello della città eterna, visto con uno sguardo famelico, impietoso eppure benevolo talvolta, dall’occhio ordinato e geometrico della cinepresa di Sorrentino, esaltato e corrotto dalla luce perfetta di Luca Bigazzi e sottolineato sontuosamente e drammaticamente dalle musiche di Lele Marchitelli.

Il personaggio di Jep Gambardella, il cui animo disincantato viene indelebilmente contaminato dalle molteplici tentazioni e la meraviglia della Capitale a cui spesso si affianca l’effimero, a cui è giunto presto dopo il precoce successo letterario giovanile, ed  incarnato in maniera sublime da Tony Servillo, attore feticcio e superbe interprete della poetica sorrentiniana a cui l’autore partenopeo conferisce tutta la sua aura ironica e intellettuale e quel cinismo malinconico e letterario che gli appartengono.
Seguiamo le vicende anti-narrative e i pensieri di Jep Gambardella con la dolce e tremenda percezione che non si vada da nessuna parte, un affresco poetico e sinuoso del nulla, così come Flaubert fece con il suo romanzo più famoso, una dichiarazione d’intenti artistica precisa e sottovalutata.

Il film si muove all’interno di un contesto sociale attuale, tipicamente italiano e prettamente romano e tenta arditamente di fare un’analisi sul presente ma non si esaurisce in nessun modo in un resoconto realistico dei giorni nostri, ma un sottile sguardo sul decadimento volgare di una città simbolo e forse anche di un Paese.
Tutti i personaggi si muovo in un tempo indefinito, quasi un contro-tempo, spesso notturno, e tutti scelgono di non vivere e di crogiolarsi nel senso indefinito di vacuità tra cui splendide emergono le figure di Romano e Ramona (sfiziosa gioco di nomi) interpretati da un insolito e drammatico Carlo Verdone e una bravissima Sabrina Ferilli.
Il sentimento e la bellezza vanno cercati anche in coloro che nella vita di tutti i giorni ci fanno una certa impressione o addirittura repulsione, il cinema di Sorrentino (innamorato da sempre dei suoi personaggi) permette questo meraviglioso gioco, di amare anche chi normalmente non è amabile ed il film prova a fare esattamente questo, a cercare la bellezza dietro lo squallore, il patetico e anche una certa volgarità.

Arriviamo infine all’annosa questione del paragone con il maestro Fellini e il suo affresco di Roma in quel capolavoro eterno che è La dolce vita (omaggiata volutamente con il cameo di Fanny Ardant in una scena in Via Veneto): il lungometraggio di Sorrentino non è un tentativo emulativo di richiamare quelle vette artistiche ma perlopiù una tensione ad ambire quelle cime pur essendo organicamente qualcosa di ben diverso e nonostante si muova negli stessi scenari e si cali nelle simili atmosfere decadenti dilettandosi in molte citazioni. Ambizioni legittime  per ogni regista cresciuto a pane e immagini e di conseguenza non una colpa. Qui non trattiamo certo di un capolavoro del cinema mondiale, ma  lasciatemi consentire di affermarlo: che grande bellezza, signori!


VOTO 7,5