lunedì 25 ottobre 2010

L'amore non basta


Regia di Stefano Chiantini
Produzione: ITA 2008 Mediafilm
Sceneggiatura: Stefano Chiantini, Rocco Papaleo
Fotografia: Giulio Pietromarchi
Scenografie:
Montaggio: Cristina Flamini
Musiche: Piernicola Di Muro
Genere: Commedia, Drammatico
Con: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi, Rocco Papaleo
Durata: 84'





Martina (Giovanna Mezzogiorno) è un’assistente di volo, durante un turno di lavoro s’imbatte in Angelo (Alessandro Tiberi),un ragazzo che ha paura di volare, che lascia un diario d’amore sul suo sedile. Il diario parla della loro storia, perché i due si conoscono, sono dello stesso paese e si amano,e lei si abbandona a quelle parole prima di riconsegnarlo, affrontando tutti i fantasmi e le incertezze di quella relazione così incostante, resa difficile ancor di più dalla “presenza” ingombrante del padre di lui (Rocco Papaleo),e dalle esuberanze del patrigno di lei (Alessandro Haber).

Il film del giovane regista abruzzese Stefano Chiantini, ambientato nella regione natìa racconta una storia d’amore sofferta soffermandosi sulla componente psicologica e sociale, che spesso riesce a compromettere le ambizioni e la sincerità di un sentimento, che come suggerisce il titolo a volte non basta.
E’ un film coraggioso, che ha il merito di cercare una linea originale, dando spessore ai personaggi, raccontandoli fino ad un certo punto per poi lasciare aperti spiragli allo spettatore, che narra con piglio leggero e intimo il continuo cercarsi, sfiorarsi e poi perdersi tra due ragazzi alla prese con le difficoltà e la precarietà delle loro vite.
E’ un film diverso, rispetto le storie d’amore convenzionali raccontante sul grande schermo, e per questo forse meno fruibile, ma più intenso, perché offre un punto di vista introspettivo, ermetico su una vicenda complessa e attuale.
Bravi gli attori, su tutti una splendida Mezzogiorno, che riesce a miscelare la fragilità travestita da sicurezza del suo personaggio, attestandosi anche in queste piccole produzioni, come una delle migliori attrici della scena nazionale e non solo.

Chiantini ci regala una poesia trasposta su pellicola, nell’impervio compito di raccontare per immagini gli stati d’animo che albergano in ognuno di noi, condendo il tutto con simbolismi e romanticherie in bilico tra dramma e commedia, mai banali, senza soffermarsi su un baricentro emozionale, ma dando respiro alla storia concentrandosi sui volti dei personaggi, assunti a veri paesaggi del film.



VOTO 7



Intervista al regista Stefano Chiantini


Stefano partiamo innanzitutto dal tuo percorso umano ed artistico, in che modo ti sei accostato al cinema, come sei riuscito a coltivare questa passione e cosa ti ha spinto ad indirizzarti proprio sulla regia?


La passione per il cinema l’ho avuta da sempre. Quando mi sono trasferito a Roma per studiare – mi sono laureato in lettere e filosofia – ho frequentato dei corsi di sceneggiatura. Le storie che ho scritto in quei corsi hanno suscitato l’interesse degli insegnanti che mi hanno spinto a portarle in giro dai produttori, e così è partito tutto.
Ho scelto di occuparmi della regia perché quello che racconto è molto particolare, nel bene o nel male è molto autoriale, legato al mio modo di vedere le cose, ed è questo un po’ il mio limite ed il mio pregio al tempo stesso. Quello che mi hanno sempre rimproverato, anche nelle scuole di cinema, è di scrivere bene solo ciò che voglio e che mi appartiene, in questo sono molto regista e poco sceneggiatore.

Il pubblico ti ha conosciuto ed apprezzato con il tuo ultimo film L’amore non basta - uscito nelle nostre sale l’aprile scorso - tra i quali figuravano alcuni attori italiani di prim’ordine come Giovanna Mezzogiorno, Rocco Papaleo ed Alessandro Haber, ma non rappresenta il tuo esordio, bensì il tuo terzo lungometraggio. C’è una poetica o una sensibilità che accomuna i tuoi film? E quanto di autobiografico finisce c’è nelle tue storie?

Come ti dicevo prima c’è un modo di vedere le cose che è molto mio. Mi piace la sospensione, in un certo senso la precarietà dello sguardo, il non prendere posizione e questo è presente in tutti i miei lavori. A me poi piace raccontare uno spaccato di vita e non storie che iniziano e finiscono, insomma non m’interessa uno sviluppo drammaturgico lineare causa ed effetto, ma più atmosfere e sensazioni.
Ad esempio quando scelgo un soggetto, o meglio quando un soggetto sceglie me, spesso ad influenzarmi è un’atmosfera, una frase, uno sguardo…da lì poi parto per costruire i personaggi e la storia che ruota attorno ad essi. Difficilmente quindi parto da una storia.

Il film è girato in Abruzzo, il posto in cui sei nato e cresciuto, quanto c’è della tua terra nelle tue opere?

La mia terra m’influenza molto, com’è naturale che sia; la porto sempre con me, la conosco e questo mi aiuta tantissimo. Mi muovo meglio nel mio territorio, un territorio materiale e spirituale, ed è qui che riesco a trovare le mie atmosfere, i personaggi giusti, le verità che cerco. La mia terra mi fa sembrare tutto più reale e concreto e mi allontana dal vuoto e l’effimero che anima un certo tipo di cinema.

Ci racconti qualche aneddoto divertente legato alle riprese del film?

La cosa più divertente è che ogni volta che arrivavo sul set trovavo difficoltà ad entrare all’ingresso, specie quando andavo da solo: nessuno mi prendeva per il regista del film, sai sono molto giovane e quindi spesso mi bloccavano. Una volta una ragazza è venuta a chiedermi come mai tutti gli attori parlavano con me che ero solo una comparsa. Ho dovuto spiegarle che ero il regista ed è stato complicato perché non ci credeva.

Quali sono i film che ami di più ed i registi che apprezzi maggiormente ai quali ti ispiri in un certo senso?

Diciamo che ci sono momenti in cui amo un certo tipo di film ed alcuni registi, non ho preferenze o canoni fissi, piuttosto sono influenzato dagli stati d’animo del momento.
Amo le pellicole che mi emozionano ed a farlo non sono sempre gli stessi film; ad ogni modo attualmente apprezzo molto il cinema di Kaurismaki, di Wong Kar-Wai, di Matteo Garrone ed i fratelli Dardenne.
Tra i miei preferiti da sempre invece posso annoverare Federico Fellini, Tarkowskij, Bunuel, Kusturiça, Antonioni..

A tuo avviso qual è il maggior pregio ed il peggior difetto del cinema italiano?

Il difetto peggiore del cinema italiano è rappresentato dal fatto che tutti vogliono fare tutto, ed ha coinvolto anche me inizialmente, ma ora spero di averlo superato. Il cinema è collaborazione, è partecipazione, e bisogna lasciare spazio a chi ti aiuta; si deve lasciare che sia lo sceneggiatore a scrivere la storia, ed auspicare il ritorno ai mestieri del cinema.
Il pregio invece è che abbiamo una grande scuola pratica e teorica, ossia non ci limitiamo ad essere dei tecnici ma c’è anche un approccio teorico che secondo me è necessario.

Come sarà il tuo prossimo lavoro e di cosa parlerà?
Il mio prossimo film vedremo, intanto lo sto scrivendo assieme a Massimo Gaudioso, che ha sceneggiato Gomorra ed altri film, e Giovanni Miniati, un giovane molto bravo e promettente.

Infine una curiosità personale, ma che è di tanti, leggendo sulle dinamiche che hanno portato alla scelta finale del titolo abbastanza particolari e legate soprattutto ad esigenze distributive, volevo sapere da te se avessi potuto scegliere liberamente un altro titolo, quale sarebbe stato?

Riguardo alla tua curiosità posso dirti che a me piaceva molto Lo stato delle cose ma è un film di Wim Wenders, altrimenti lo avrei voluto chiamare semplicemente Io e te.






giovedì 21 ottobre 2010

Watchmen


Regia di Zack Snyder
Produzione: USA 2009 Universal Pictures
Sceneggiatura: David Hayter, Alex tse
Fotografia: Larry Fong
Montaggio: William Hoy
Scenografie: Alex McDowell
Musiche: Tyler Bates
Genere: Drammatico
Con: Matthew Good, Jackie Earle Haley, Carla Gugino, Billy Crudup
Malin Akerman, Jeffrey Dean Morgan, Patrick Wilson
Durata: 163'




Ottobre 1985. Nixon è stato eletto per la terza volta presidente degli Stati Uniti grazie alla vittoria conseguita nella guerra in Vietnam e sul mondo incombe la minaccia di una guerra nucleare con L’Urss.
L’orologio dell’apocalisse segna cinque minuti a mezzanotte, quando si diffonde la notizia che qualcuno ha ucciso un vecchio supereroe in pensione, il Comico, appartenente alle cosiddette ‘Maschere’ ormai da anni fuorilegge, considerati dei Vigilantes. L’ex guardiano mascherato Rorschach è determinato a svelare un complotto che ritiene sia mirato ad uccidere e screditare tutti i supereroi passati e presenti.
Dopo aver con difficoltà radunato la legione di suoi ex colleghi combattenti contro il crimine: Gufo Notturno, Spettro di seta, Ozymandias e Dottor Manhattan (l’unico ad avere poteri reali), scopre un’ampia ed inquietante cospirazione che ha legami con il loro comune passato, ma soprattutto potrebbe produrre catastrofiche conseguenze nel futuro.
La missione è vegliare sull’umanità, ma chi veglierà sui Watchmen?

Prima di parlare del film è doveroso e quanto meno opportuno considerare la graphic novel Watchmen da cui è tratta, la più celebre ed acclamata di tutti i tempi, che sta al fumetto come la bibbia sta al libro, opera del genio visionario di Alan Moore (disegnata da Dave Gibbons), che considerava “infilmabile” e come nelle precedenti trasposizioni cinematografiche delle sue opere (V per Vendetta, From Hell, La lega degli straordinari gentleman) ha chiesto di non comparire nei crediti e lasciato la sua parte di guadagni a Gibbons.
Ad oggi l’unico fumetto ad aver vinto un Premio Hugo e ad essere inserito nella lista del Time Magazine tra i migliori “100 romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi” e che ha portato il genere ai massimi livelli espressivi, opera ambiziosa e complessa ed impossibile da analizzare in poche righe.

Di fronte ad un’impresa considerata dallo stesso autore impossibile, che ha avuto una genesi lunga vent’anni, passata e poi sfuggita tra le mani di grandi registi quali Terry Gilliam, Paul Greengrass e Darren Aronofsky, fino ad approdare al talentuoso Zack Snyder, il lavoro si considerava arduo ed impervio sin da subito.
Il regista americano, celebrato nel precedente lavoro 300 , anch’esso tratto da una graphic novel di culto, sembra quasi incerto nel prendersi la responsabilità di trarre ispirazione dal fumetto oppure rimanervi fedele. Optando per una sostanziale fedeltà all’originale, quantomeno nell’immaginario e nelle atmosfere, e venendo meno invece per quanto riguarda la natura dell’opera che nulla aveva di spettacolare, esasperando le scene di azione pur di pagare tributo alla cinematograficità della narrazione, cambiando e dilatando decisamente il finale, poco in linea con la soluzione adottata nella graphic-novel, ma recuperato nella director's cut.

Ciononostante il contributo visivo ed estetico è straordinario, che appaga le atmosfere cupe e violente tipiche di Moore, e che ai più forse risulterà indigesta, in un mondo profondamente immerso nella paranoia imperante degli anni 80, in bilico tra i timori di una guerra nucleare imposti dalla Guerra Fredda ed un mondo i cui eroi sono senza poteri, discriminati ed imperfetti, de-costruendo l’archetipo del supereroe classico; alcune scene sono memorabili grazie ad una colonna sonora azzeccata che esalta i frangenti più coinvolgenti.
Certo è che un pubblico abituato alle magnificenze e spettacolari imprese dei supereroi più celebri del grande schermo, tutto ciò apparirà incomprensibile e distante (specie ai più giovani) compresa la durata sostanziosa della pellicola, il cinismo e lo storicismo di cui è permeata, e la difficile comprensione dovuto all’ampio uso di simboli, dialoghi con diversi livelli d’interpretazione, ucronia, meta-narrazione e l’imponente comparto di temi trattati e riferimenti storici e politici.
In definitiva ne vien fuori un lavoro coraggioso i cui meriti ne costituiscono paradossalmente anche i suoi limiti, a cui manca il guizzo geniale per renderlo un capolavoro ma che ha le caratteristiche proprie di un ottimo prodotto cinematografico, un blockbuster ma d’essai. Impavido




VOTO 7,5

martedì 19 ottobre 2010

A single man


Regia di Tom Ford
Produzione: USA 2009 Archibald film
Sceneggiatura: Tom Ford
Fotografia: Eduard Grau
Scenografie: Dan Bishop
Musiche: Abel Korzeniowski
Genere: Drammatico
Con: Colin Firth, Julianne Moore, Nicholas Hoult
Durata: 101










Los Angeles, 1962. Gli Stati Uniti sono sull'orlo di una crisi nucleare con Cuba ma tutto ciò non sembra turbare minimamente George Falconer (Colin Firth), impeccabile docente universitario che ogni mattino combatte la sua sofferenza per la scomparsa dell'amato compagno Jim, mascherando il suo mal de vivre sotto una patina di abiti firmati, compostezza e buone maniere. Ma il dolore lacerante riaffiora nei momenti più impensabili, attraverso lo scatenarsi di reminescenze emozionali innescate da dettagli apparentemente insignificanti. Per George ogni giorno è una lotta, il suo rapporto con la società è ridotto ai minimi e sembra incapace di proseguire la sua vita, meditando il suicidio. Proveranno a trattenerlo dall'orlo dell'abisso Charley (Julianne Moore) una vecchia amica cinica e disillusa ed un suo giovane studente, Kenny (Nicholas Hoult) che s'invaghisce di lui.

Il celebre stilista Tom Ford esordisce dietro la macchina da presa con un film di difficile impostazione cinematografica trasponendo il bellissimo romanzo di Christoper Isherwood Un uomo solo”, una scelta impervia per un esordiente che proviene perdipiù da tutt'altro mondo ma riesce a stupire tutti, critici e scettici compresi, convincendo e commuovendo alla 66esima mostra internazionale del cinema di Venezia dove il film è stato presentato in concorso.
L'ultimo giorno di un uomo sopraffatto e sconfitto dal suo dolore è narrato con una precisione ed un controllo delle inquadrature impeccabili, degne di un veterano, impreziosite dalla perfezione formale del suo decòr, ma se la cura per i dettagli è preventivabile in quanto rappresenta il suo marchio di fabbrica, ciò che sorprende è la capacita di Ford di incastrare tutti gli elementi cinematografici, costruendo un ingranaggio scenico e filmico sublime, in cui le musiche di Korzeniowski e Umebayashi (In the mood for love) fluttuano sulla fotografia calda e glamour di Eduard Grau regalando attimi d'intesità narrativa e scenica totali ed appaganti. La materia emotiva è sontuosamente interiorizzata da Colin Firth, vincitore meritatamente della Coppa Volpi come miglior interprete, che restituisce lavorando in sottrazione e con sobrietà la profondità di un ruolo complesso, riuscendo ad essere autentico ed intimo evitando di scivolare nel sentimentalismo e nel manierismo.
Dietro la rarefatta eleganza formale del film palpita un cuore cinefilo sensibile e passionale, in cui la sostanza dolorosa della perdita viene assorbita dalla magnificenza dello splendore estetico amalgamandosi con la vacuità della vita. Emozioni sottaciute che quando prendono il volo si librano leggere, fino alle lacrime. Cinema allo stato puro.


VOTO 8


mercoledì 13 ottobre 2010

Adventureland


Regia di Greg Mottola
Titolo originale: Adventureland
Produzione: USA 2009 Walt Disney
Sceneggiatura: Greg Mottola
Fotografia: Terry Stacey
Scenografie: Stephen Beatrice
Musiche: Yo la Tengo
Genere: Commedia
Interpreti: Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Martin Starr, Bill Hader, Ryan Reynolds
Data di uscita: 10/07/2009
Durata: 107’



Esce in piena stagione estiva, solitamente avara di pellicole interessanti, il nuovo film del promettente Greg Mottola, che con la sua opera prima Suxbad – Tre menti sopra il pelo aveva sbancato il botteghino americano ottenendo un discreto successo anche dalle nostre parti. Certo è che la Disney non deve aver creduto molto nella pellicola, che paga la scarsa visibilità del misero afflusso estivo verso le sale, nonostante si dimostri un piccolo romanzo di formazione romantico davvero delizioso.

Brennan (Jesse Eisenberg) è il tipico nerd americano, fresco di diploma si trova costretto a causa delle ristrettezze finanziarie familiari ad abbandonare i sogni di gloria di un estate di bagordi in Europa, ed a lavorare presso un Luna Park fatiscente e sfigato di Pittsburg, (l’Adventurland del titolo) per poter mettere da parte un po’ di risparmi per il college. Qui avrà modo di conoscere l’affascinante ed incasinata Em (Kristen Stewart) anche lei addetta ai giochi del parco, il musicista tuttofare Connell (Ryan Reynolds) e l’esuberante titolare del parco Bobby (Bill Hader) che gli regaleranno un’estate intensa difficile da dimenticare.

Attingendo di nuovo dalla sua storia personale, Mottola (che lavorò davvero nell’87 in un piccolo parco di Pittsburg chiamato Adventureland) scrive e dirige con sentimento e delicatezza un piccolo compendio di commedia romantica immerso nell’atmosfera reganiana, limitandosi a raccontare con arguzia e leggerezza il classico percorso di formazione del passaggio dalla giovinezza all’età adulta che il cinema ha ampiamente saccheggiato, forte però di uno script dai dialoghi ironici e taglienti, impreziosito da un cast giovane e talentuoso sui quali spiccano lo stralunato Eisenberg (già visto ne piccolo film indipendente Il calamaro e la balena), la star di Twilight, Kristen Stewart ed il sempre bravo, seppur sottovalutato, Ryan Reynolds; noto ai più forse maggiormente come marito della splendida Scarlett Johansson che per le sue doti recitative.
Nonostante tutta la pellicola sia costantemente pervasa dalla tipica sensazione di già visto, ha il pregio della sensibilità e della tenerezza malinconica dello sguardo disincantato, buonista ma mai retorico, dal sapore nostalgico delle vecchie commedie adolescenziali old-style, intriso di una colonna sonora composta di Hit dell’epoca che ben richiamano il sentimento crepuscolare e divertente dello Smell Like Teen Spirit che tutti rimpiangiamo.
Una piccola oasi rinfrescante nell’arido deserto estivo cinematografico.

VOTO 7,5

domenica 10 ottobre 2010

Inception


Regia di Christoper Nolan
Produzione: USA 2010 Warner Bros
Sceneggiatura: Christoper Nolan
Fotografia: Wally Pfister
Scenografie: Guy Hendrix Dyas
Musiche: Hans Zimmer
Genere: Drammatico, Azione
Con: Leonardo Di Caprio, Ken Watanabe, Marion Cotillard
Durata: 148’






Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) è un abile ladro nell'arte dell'estrazione di informazioni dal profondo subconscio durante l'attività dello stato onirico, quando la mente è maggiormente vulnerabile. La sua figura è alquanto ricercata nell'ambito dello spionaggio industriale internazionale, ma ciò ha comportato anche la perdita della sua famiglia e di ciò che ha amato. Proprio per cercare di riconquistare i suoi figli accetterà la missione propostagli dall'industriale giapponese Saito (Ken Watanabe) e tenterà un'impresa improba, l'inception del titolo ossia il tentativo non di rubare informazioni bensì di innestare un'idea all'interno della mente di Robert Francis Jr. (Cillian Murphy), figlio ereditario di un colosso finanziario con lo scopo di frammentarne la società. Ma dovrà fare i conti con il suo passato sepolto nel suo inconscio, rappresentato dalla moglie Mal (Marion Cotillard).

Dopo i fasti della sua ultima pellicola, Batman - Il cavaliere oscuro il regista di culto Christopher Nolan (Memento/The Prestige) riesce a dar corpo al suo progetto più ambizioso e personale, su cui era a lavoro da dieci anni. Doveva essere un piccolo progetto ma l'hype che gira intorno alla sua figura di regista “atipico” che riesce a far coincidere film d'autore con gli incassi ai botteghini, ha fatto sì che le major lo coccolassero e gli dessero ampia libertà, un cast sontuoso ed un budget stratosferico per costruire il suo complesso puzzle visionario.

Il regista americano qui è alla sua prima prova senza l'ausilio del fratello Jonah alla sceneggiatura, un lavoro concepito e realizzato a cerchi concentrici, volutamente artificioso e sovradimensionato che mette a dura prova lo spettatore, soprattutto quello non abituato alle tortuosità degli script di Nolan. Una volta immersi però nel mondo e le atmosfere tipiche del suo registro stilistico tutto diviene apparentemente più nitido, salvo ritrovarsi nuovamente storditi dinanzi al solito gioco di specchi creato ad arte dalla penna del regista che non fa nulla per mitigare il senso di smarrimento che s'impadronisce di coloro che osservano lo svolgersi della narrazione tesa a disorientare negli intenti dell'autore che sulla perdita d'orientamento del pubblico ha costruito il suo cinema e da qui deriva tutto il suo fascino.
Fin qui nulla da eccepire, un articolato lavoro di sceneggiatura che s'innesta però sul tentativo dichiarato di combinare il cosidetto genere heist movie (film di rapina) con la sci-fi di matrice onirica, ed è qui che sorgono alcune perplessità. Tutta l'articolazione narrativa così affascinante ed elegantemente trasmessa si piega di fronte alle scene d'azione che finiscono per prendere il sopravvento nel plot narrativo esautorando tutto il lavoro certosino svolto in precedenza. Da non sottovalutare le simbologie nascoste nel film a partire dai nomi dei personaggi che rievocano personaggi mitologici o biblici (il nome del protagonista Cob sta per Giacobbe, Arianna che ha il ruolo dell'architetto è presa dalla “mitica” figlia di Teseo, quella del celebre filo per intenderci, e così via).

Il merito di Nolan è di aver costruito un mondo onirico, senza tuttavia abbandonarsi dalla materia instabile e sfuggente propria dei sogni, bensì scegliendo di imporre al subconscio una vera e propria grammatica, con le sue regole e le sue leggi, rendendo il tutto coerente ma soprattutto filmabile, dando una forma ed una logica ad un universo astratto ed illogico per natura. Nonostante quasi tutta la vicenda sia ambientata all'interno di un mondo onirico infatti non si ha la sensazione di sentirsi all'interno di posti creati dalla mente.
Vi è sottotraccia anche il parallelismo con il processo creativo cinematografico, che si compone con la stessa sostanza del lavoro onirico, ma ciò che più conta in questo intricato labirinto mentale è il controllo con il quale Nolan gestisce l'intera impalcatura narrativa ricostruita perfettamente con il suo gioco d'incastri che si rivela però così perfettamente congegnata quanto fredda e priva di quel palpito emotivo che pur ci si aspetta dalle sue pellicole. Qui lo scarto è più evidente che altrove ed il film ne risente, come a dire troppa cerebralità e poco cuore.
Dettagli che sembrano pagliuzze ininfluenti negli occhi del grande pubblico ma travi evidenti per i suoi fan più accaniti.

VOTO 7

venerdì 8 ottobre 2010

Rachel sta per sposarsi


Regia di Jonathan Demme
Titolo originale: Rachel get married
Produzione: USA 2008 Sony Pictures
Sceneggiatura: Jenny Lumet
Fotografia: Declan Quinn
Musiche: Donald Harrison Jr.
Genere: Drammatico
Con: Anne Hataway, Rosemarie Dewitt, Bill Irwin, Debra Winger, Tunde Adebimpe
Data di uscita: 28/04/2009
Durata: 108’



Kym (Anne Hataway) in occasione del matrimonio della sorella Rachel (Rosemarie Dewitt) con il musicista di colore Sydney (Tunde Adebimpe) esce dal centro di riabilitazione in cui per l’ennesima volta è relegata per disintossicarsi dalle droghe. In un clima di festa ed intimità la famiglia si troverà di nuovo ad affrontare i fantasmi del passato che l’hanno lacerata, con al centro Kym come capro espiatorio.

Il regista newyorkese JonathanDemme, premio oscar nel 1992 con Il silenzio degli innocenti, dopo gli ultimi anni passati in giro per il mondo a girare i suoi toccanti documentari, torna al lungometraggio grazie alla sceneggiatura della esordiente Jenny Lumet, figlia del celebre regista Sydney. Il taglio documentaristico permane in questa pellicola che si affida perlopiù al digitale citando la lezione dogmaniana di Von Trier, ed omaggiando in particolare il cinema corale di Robert Altman e Roger Corman, ringraziati anche nei titoli di coda.

Quello che stupisce ed appassiona e la naturalezza degli interpreti e la fluidità della narrazione che stabilisce sin da subito un contatto intimo ed empatico con lo spettatore che si trova coinvolto in prima persona nelle vicende sciorinate, come uno qualsiasi degli invitati al matrimonio. Per riuscire ad ottenere questo effetto e rendere il tutto realistico e credibile, Demme gira nella sua casa con i suoi veri amici e con autentici musicisti, senza una vera sceneggiatura e totale libertà d’ispirazione per le musiche che accompagnano con le loro note diegetiche i dialoghi e le inquadrature composte al momento sul posto, senza una successiva post-produzione per quanto concerne la colonna sonora. Gli attori si muovono con scioltezza e disinvoltura naturale in questo contesto, che diventa un toccante teatro filmato costruito in progressione, senza punti di riferimento per le inquadrature, in quanto il regista volutamente sceglie diverse telecamere che circondano gli interpreti amalgamandosi con discrezione, restituendo all’occhio dello spettatore il calore (non solo visivo) prodotto da tale vicinanza.

In questo clima artistico gli attori svolgono egregiamente il loro ruolo con interpretazioni davvero notevoli, superbe a tal proposito le prove della Dewitt e Irwin, ossia la Rachel del titolo ed il padre, mentre una citazione a parte merita la strepitosa Hateway, che qui dimostra tutto il suo talento in un ruolo intenso e drammatico, meritandosi la candidatura agli oscar.
E’ un film passato ingiustamente sottotono nelle sale italiane da recuperare assolutamente, capace di emozionare facendo vibrare la fibre più intime, senza barare o forzature tipiche di tante pellicole hollywoodiane che saggiamente distribuisce ironia e drammaticità, poggiato su di una sceneggiatura di livello nonostante opera prima della giovane Lumet ed impreziosito da una splendida cornice filmica quasi artigianale degna di un piccolo capolavoro. Sublime.

VOTO 8

martedì 5 ottobre 2010

Two lovers


Regia di James Gray
Produzione: USA 2008 Bim
Sceneggiatura: James Gray, Ric Menello
Fotografia: Joaquin Basa-Asay
Genere: Drammatico
Con: Joaquin Phoenix, Gwyneth Paltrow, Vinessa Shaw, Isabella Rossellini, Moni Moshonov
Data di uscita: 27/03/2009
Durata: 100








Dopo la trilogia malavitosa iniziata con Little Odessa, proseguita poi con The Yard e i Padroni della notte presentato a Cannes nel 2007 Julian Gray spiazza tutti e si cimenta con il genere sentimentale, progetto alquanto impervio e complicato dimostrando tutte la sua duttilità cinematografica nonché il suo tangibile talento.
In Two Lovers il regista e sceneggiatore americano torna nei luoghi a lui cari, e precisamente Brighton Beach nei pressi di Brooklyn a New York avvalendosi ancora una volta del suo attore feticcio Joaquin Phoenix, fratello del compianto River, per narrare la delicata storia di Leonard (Joaquin Phoenix), che torna a vivere con i suoi genitori dopo un fallimento amoroso ed un tentato suicidio. Una volta tornato nel luogo natio ed in cura antidepressiva, incontra due donne molto diverse tra loro: Sandra (Vinessa Shaw), figlia di un uomo d’affari ed amico di famiglia intenzionato a rilevare l’attività del padre, e Michelle (Gwyneth Paltrow), tormentata ed affascinante vicina di casa, amante di un facoltoso avvocato.

Con lirico rigore Gray racconta i drammi sentimentali dell’uomo moderno traendo ispirazione da un racconto di Dostoevskij Le notti bianche, affidando le sorti della narrazione ad un punto di vista intimo, notturno e reale, scandagliando il mal de vivre di un uomo ferito che torna ad innamorarsi e lentamente alla vita, prima di lasciarsene nuovamente sopraffare. Per una volta l’amore non è oggetto di commedia sentimentale a lieto fine, ma ha il sapore amaro della resa, della delusione e delle lacrime senza patetismi retorici o urlati delle tragedie. Lo sguardo della cinepresa è garbato, sommesso quasi celato, scegliendo le atmosfere notturne e anonime, per narrare tutte le contraddizioni sentimentali e le sue imprevedibili pieghe con il tocco disarmante della leggerezza riuscendo ad orchestrare il gioco intimista delle parti, con uno stile che evita i cliché insinuando la disperata quietezza della vita capace di riverberare malinconie e illusioni, degni di un poema visivo che si evidenzia per finezza, penetrazione emotiva ed intensità, grazie anche all’ennesima superlativa prova di Phoenix ed una convincente e seducente Paltrow. Un dramma amoroso contemporaneo, minimalista e sofferto e per questo un film raro ed imponente nella sua semplicità.

VOTO 7,5