mercoledì 28 novembre 2012

Valzer con Bashir

Regia: Ari Folman
Titolo originale: Waltz with Bashir
Produzione: Israele, Germania, Francia 2008
Distribuzione: Lucky Red
Sceneggiatura: Ari Folman
Fotografia: Declan Quinn
Montaggio: Nili Feller
Musiche: Max Richter
Con: Rob Ben-Yishai, Ronny Dayag, Ari Folman, Dror Arazi, Yehezkel Lazarov
Durata: 87'









Una sera, in un bar, un vecchio amico racconta al regista Ari Folman il suo incubo ricorrente, che tormenta le sue notti, nel quale viene inseguito da un branco di 26 cani inferociti. Ogni notte stesso incubo e stesso numero di cani. Dialogando, giungono alla conclusione che c’è un legame indiscutibile tra quell’incubo costante e la loro missione nelle file dell’esercito israeliano durante la prima guerra in Libano, agli inizi degli anni 80. Ari così si rende conto con stupore di non ricordare più nulla di quel periodo della sua vita, ed incuriosito decide di incontrare ed intervistare i vecchi amici e compagni d’armi, ormai sparsi in vari paesi del mondo. Inizia così un viaggio nella memoria collettiva e personale, alla ricerca di sé stesso e della verità su alcuni tragici eventi che sembravano sepolti.

Per dar vita a questo coraggioso progetto ci son voluti 4 anni al regista e sceneggiatore israeliano Ari Folman, trovando la formula migliore per narrare la tragicità e la follia della guerra: il documentario d’animazione. Originale e intenzionale forma stilistica che unisce l’animazione tradizionale con quella in Flash ed il 3D, che risulta vincente in quanto il disegno animato opera al confine tra realtà e subconscio, atmosfera di cui si la pellicola si permea e si districa. Un’animazione scarna e stilizzata, ma efficace nel rappresentare l’oniricità dei ricordi e la poesia drammatica sciorinata in alcune sequenze indimenticabili, grazie all’illustratore David Polonsky ed impreziosite dalla splendida colonna sonora del compositore inglese Max Richter che mischia sapientemente la musica classica con l’elettronica.

Folman percorre un viaggio personale interiore che è anche una sorta di seduta collettiva per il popolo israeliano, volto alla riscoperta di un passato scomodo e sin troppo in fretta rimosso con cui fare i conti, esplorando l’esperienza dei reduci di guerra, attingendo dalla propria esperienza sui campi di battaglia. Ci riporta così, sotto le bombe di Beirut della calda estate del 1982, durante la quale nei campi profughi di Sabra e Shatila avvenne uno degli eccidi di massa più vergognosi della storia recente, in cui le milizie dei cristiani falangisti libanesi, come ritorsione per la morte del neo-eletto presidente Bashir in un attentato terroristico pochi giorni prima, uccisero e seviziarono per tre giorni i profughi palestinesi del campo (donne, vecchi e bambini compresi), conclusosi con la morte di circa 3.000 civili, con la complicità dell’esercito israeliano che scortò i falangisti e non fece nulla per evitare quel genocidio.

Pochi film sanno raccontare con sconvolgente sincerità e trasparente dolore, l’insensata e spietata follia della guerra, fondendo abilmente il documentario politico con l’autobiografia, i fatti storici con la vicenda personale, l’animazione con la poesia. Ari Folman riesce a tessere questa trama poetica sullo schermo, con visionaria lucidità e struggente intensità, regalandoci un’opera straordinaria ed indimenticabile. Da oscar, mancato pero'.




VOTO 8

lunedì 19 novembre 2012

007 - Skyfall


Regia: Sam Mendes
Distribuzione: Warner Bors Pictures
Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Stuart Baird
Costumi: Jamie Temime
Scenografie: Dennis Gasner
Musiche: Thomas Newman
Con: Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Bérénice Marlhoe,
Ben Wishaw, Naomie Harris, Albert Finney
Durata: 143'








Quando l’ultimo incarico di James Bond (Daniel Craig) si conclude tragicamente e viene resa pubblica l’identità di molti agenti sotto copertura in tutto il mondo, l’MI6 viene attaccato, costringendo M (Judi Dench) a cambiare la sede dell’agenzia.
Questi avvenimenti fanno sì che l’autorità e la posizione di M siano contestate da Mallory (Ralp Phiennes), il nuovo direttore dell’Intelligence and Security Committee.
L’MI6 è minacciato sia dall’esterno che dall’interno e M ha un unico alleato su cui contare, Bond, aiutato solo da un agente sul campo, Eve (Naome Harris), incaricato di rintracciare il misterioso e letale Silva (Javier Bardem), di cui nessuno conosce ancora le vere motivazioni.

E siamo arrivati a ventitré film per la saga più longeva della storia del cinema che cade (non a caso) nell'anno del 50° anniversario dall'inizio della serie e per l'occasione la macchina produttiva guidata dalla figlia d'arte Barbara Broccoli e Michael G. Wilson
fanno le cose ancora più in grande, alzano ancora una volta l'asticella del livello della saga circondandosi di un team di lavoro che comprende le eccellenze del campo tecnico nonché alcuni tra i migliori artisti del mono del cinema in circolazione.

A tirare le fila del gigantesco meccanismo cinematografico incentrato sulle storie del mitico agente segreto nato dalla penna di IanFleming viene chiamato uno dei migliori autori del cinema hollywoodiano contemporaneo, quel Sam Mendes, regista premio oscar, che riazzera la saga e riporta James Bond a riannodare le fila del proprio passato
definitivamente, in quell'escursus personale inaugurato dal primo film della 'nuova' saga del Bond interpretato da Daniel Craig nel 2007 con CasinòRoyale, e porre le basi per l'inizio di una nuova era bondiana di stampo autoriale.
Grazie al nerbo sicuro ed esperto in fase di sceneggiatura degli storici Neal Purvis e Robert Wade coadiuvati dalla new entry proveniente dal teatro John Logan, che ha impreziosito i dialoghi di un'intensità emotiva particolare, scollando sempre più di dosso dal progetto il cliché che vuole la trama come un semplice pretesto per gli effetti speciali. 
Ciononostante il ventitreesimo capitolo delle avventure dell'agente segreto più famoso al mondo ha tutti i crismi che un film di genere targato Bond deve avere: azione mozzafiato, cattivi micidiali, bellissime bond girls, location esotiche, l'Aston Martin DB5, lo smoking impeccabile di 007 ed infine una colonna sonora indimenticabile questa volta interpretata dalla star della musica inglese Adele.
Ovviamente un film di James Bond non è mai solo un insieme di tessere di un puzzle; tutti questi elementi – come il gin e il vermouth, agitati, non mescolati – devono essere al servizio di una storia. Ed è merito di Sam Mendes aver saputo combinare il tutto, dirigendo con impeccabile precisione sia i momenti d'azione che quelli più pacati ed introspettivi di personaggi scandagliati fino all'osso, ricchi di sfumature e permeati da un'amarezza e un leggero disincanto mai sino ad ora sondati se non su carta nei libri di Fleming.
Il leit-motive dell'intera pellicola verte sulla dicotomia passato-moderno, con una miriade di raffinati rinvii ai vecchi episodi omaggiati con sottile ironia innestando al contempo un' attitudine sociale incentrata sul mondo contemporaneo e lo sguardo fisso sul futuro della serie e le sue nuove potenziali prospettive.

Mendes gioca e si diverte sapientemente con il materiale di un'epopea che sembrava al crepuscolo facendola risorgere come il suo Bond nella pellicola, che passa tutto attraverso il corpo, i muscoli e la faccia di Daniel Craig ormai definitivamente assurto come l'unico Bond cinematografico possibile e forse il migliore di sempre.



VOTO 7,5


martedì 6 novembre 2012

TED


Regia: Seth MacFarlane
Produzione: Universal Pictures
Sceneggiatura: Seth MacFarlane, Alec Sulkin, Wellesley Wald
Fotografia: Michael Barrett
Montaggio: Jeff Freeman
Scenografie: Stephen J. Lineweaver
Musiche: Walter Murphy
Con: Mark Wahlberg, Mila Kunis, Seth MacFarlane, Giovanni Ribisi
Durata: 106'










John Bennet è un bambino solo e impopolare, la notte di natale riceve in regalo un orsacchiotto di peluche che battezza Ted, un surrogato di quell'amico che ha sempre desiderato e tale è la forza del bimbo affinché il suo confidente di pezza possa parlare che il miracolo avviene e Ted prende vita divenendo persino una celebrità dell'epoca.
Trent'anni dopo i due sono ancora amici inseparabili, coinquilini dediti all'alcool, marijuana e telefilm anni 80 ma questo stile di vita scellerato e immaturo mette a repentaglio la relazione che John (Mark Wahlberg) da qualche tempo ha instaurato con la splendida Lori (Mila Kunis).
La sua girlfriend arriverà a porlo dinanzi ad un ultimatum terribile: abbandonare il suo teddy bear e crescere, oppure rinunciare per sempre a lei e il loro futuro insieme.

SethMacFarlane è il celebre autore di serie d'animazione cult come I Griffin, American dad e The Cleveland show che come MattGroening con i suoi Simpons e Trey Parker con l'iconosclasta SouthPark prima di lui hanno rivoluzionato la cultura televisiva, soverchiandone i cliché , spazzando via le convenzioni ed abbattendo molti tabù all'insegna del politicamente scorretto.
Ora effettua il grande passo sul grande schermo con una sceneggiatura originale che mantiene il suo caratteristico stile feroce e ricco di trovate volgari e geniali seppur innestandosi all'interno di una narrazione estesa che a tratti reprime questa verve dissacrante per piegarsi alle logiche narrative hollywoodiane. Ed è proprio qui che la pellicola paga dazio.
Infatti se da un lato abbiamo una prima parte esplosiva, piena di gag incalzanti e con un ritmo sostenuto, grazie soprattutto alla la capacità dell'insolito duo Mark Wahlberg/Ted (la cui voce originale è proprio di MacFarlane) di affiatamento ed empatia ai massimi livelli. Dall'altro lato invece fa' da contraltare una seconda parte lenta e farraginosa, che s'inceppa tra i meccanismi arrugginiti della rom-com perdendo e sfilacciando spesso i fili della vicenda che sino ad allora si era rivelata scoppiettante e profondamente scorretta, finendo per procedere verso binari buonistici tipici da happy ending come se la produzione avesse calcato la mano e costretto la sceneggiatura a imbarcarsi verso i lidi sicuri del lieto fine.

Detto questo c'è da dire che la commedia ha molte frecce al suo arco ed in tempi magri per il genere (per intenderci è il genere di film che i padri della commedia scorretta, i fratelly Farrelly non faranno mai più) la creatura di MacFarlane - che ha spopolato al box office americano in estate e si è difesa egregiamente anche da noi - è una gradita sorpresa, oltreché un memorabilia e un tributo alla cultura pop anni 80 (nintendo, star wars, flash gordon), rinverdisce una formula narrativa abusata che sembrava al capolinea donandogli un nuovo slancio e ulteriori possibilità narrative che accogliamo come manna dal cielo in attesa di una seconda prova più coraggiosa, cattiva e robusta e conoscendo il geniaccio americano possiamo aspettarci di tutto.
Nel frattempo attenderemo la notte dei prossimi oscar che sarà diretti e presentata da lui e sarà l'ennesimo banco di prova e un'occasione ghiotta dinanzi al grande pubblico da sfatare e dissacrare.


VOTO 7

venerdì 5 ottobre 2012

Le serie tv da non perdere 2012

HOMELAND - Caccia alla spia  @trailer

La miglior serie Thriller che racconta l'America post 11 settembre fresca trionfatrice agli ultimi Emmy Award 2012 con cinque statuette tra cui miglior serie drammatica, e migliori attori protagonisti, la coppia Claire Danes e Damian Lewis. La Danes interpreta Carrie Mathison, ufficiale della CIA convinta che il marine Nicholas Brody (interpretato da Damian Lewis), che fu detenuto da Al-Qaeda come prigioniero di guerra, faccia parte di una cellula dormiente e che sia un rischio per la sicurezza nazionale.Politicamente risonante, emotivamente straziante e avvincente da guardare a ritmo di jazz malinconico.


 NEW GIRL@trailer

Una delle miglior sit-com in circolazione che fa leva tutta sull'estro e la simpatia travolgente dell'attrice e musicista indie Zooey Deschanel che interpreta la stravagante e Jessica "Jess" Day, che dopo l'improvvisa rottura con il suo storico fidanzato si ritrova a dividere l'appartamento con tre ragazzi sconvolgendo le loro giornate con il suo umorismo e la sua imprevedibilità. Nomination ai Golden Globe 2012 come miglior serie commedia e miglior attrice per una serie commedia.





THE GAMES OF THRONE - Il trono di spade@trailer

Una delle serie di culto, tratto dal ciclo di romanzi fantasy Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin campione d'ascolti negli USA e in Italia. Ambientazione fantasy, attori formidabili, dettagli accurati, intrighi, sangue e sesso a iosa in uno script non banale ricco di suspense e colpi di scena  la decretano tra le migliori serie della stagione. Adatto anche ai non amanti del genere.










venerdì 10 agosto 2012

Un amore di gioventù


Regia: Mia Hansen-Løve
Distribuzione: Teodora Film
Sceneggiatura: Mia Hansen-Løve
Fotografia: Stéphane Fontaine
Montaggio: Marion Monnier
Scenografie: Mathieu Menut
Costumi: Bethsabée Dreyfus
Con: Lola Creton, Sebastian Urzendowsky, Magne Havard-Brekke
Durata: 110'









Camille (Lola Creton) ha 15 anni, Sullivan (Sebastian Urzendowsky) 19. Il loro amore, nato durante l’estate, è intenso e passionale, ma Sullivan parte per il Sudamerica e Camille si ritrova sola. Gli anni passano e la ragazza non sembra riuscire a dimenticare, finché non conosce un maturo architetto di cui diventa assistente e amante. Ma proprio quando tutto sembra andare per il meglio, Sullivan si riaffaccia nella sua vita...

L'estate è un periodo sterile per il botteghino ma assai florido per recuperare ed assaporare le piccole pellicole indipendenti come questo gioiellino francese che in altri periodi dell'anno avrebbe avuto difficoltà ad emergere nel vasto oceano di uscite cinematografiche.
Un amour de jeunesse” (questo il titolo originale) è il terzo film della giovane regista parigina, classie 1981, Mia Hansen-Løve - che abbiamo imparato ad apprezzare con il suo precedente lavoro “Il padre dei miei figli” - che conclude una sorta di trilogia della separazione nata spontaneamente.
La cineasta francese ha quel tocco ispirato e poetico, quel dono di saper raccontare splendidamente le storie d'amore. La passione, il dolore, la confusione, la vitalità e l'amarezza sono dipanate con agevole maestria traendo linfa dalla lezione del cinema d'autore classico francese, nouvelle vague in primis. Non faticheranno i cinefili più scaltri a scovare gli omaggi a Godard (nei titoli di testa) Rohmer (nei pedinamenti e l'indagine amorosa) Bresson ( e la sua contemplazione dell'invisibile) e l'immancabile Truffaut ( lo sguardo ad altezza di fanciullo).
La Hansen-Løve affresca con delicatezza l'amore fou giovanile con devozione e passione, dipinge i paesaggi alla Monet con le sue inquadrature, e accarezza i volti acerb e innocenti dei due protagonisti immersi in un'atmosfera votata al realismo, che traspare dalla fotografia, i dialoghi particolareggiati e il sonoro dell'ambiente.
Un film sincero, tenero e vibrante che procede con soffusa reticenza, senza colpi di scena, senza dramma, ma con un turbinio leggero di emozioni soffocate e languide che galleggiano ina una sorta di tempo sospeso, una sorta di presente atemporale in cui i personaggi si muovono e si evolvono, come se fossero filtrati dalla patina del ricordo.
Una storia romantica, un racconto di formazione amorosa che sembra appartenere ad una altra epoca, una meraviglia per gli occhi ed il cuore, nonché l'ennesimo splendido film francese.

VOTO 7,5

mercoledì 6 giugno 2012

In Time


Regia: Andrew Niccol
Distribuzione: Medusa
Sceneggiatura: Andrew Niccol
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Zach Staenberg
Scenografie: Vlad Bina
Musiche: Craig Armstrong
Costumi: Sarah Akhteh
Con: Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Olivia Wilde, Johnny Galecki
Durata: 109'








Il tempo è danaro” recita un vecchio adagio ma se davvero in un futuro prossimo l'intero sistema economico e sociale si basasse sul tempo come moneta?
E' questo l'intrigante incipit da cui parte il regista e sceneggiatore di culto Andrew Niccol, autore dello script di The Truman show e dietro la macchina da presa nei film cult Gattaca – La porta dell'universo e Lord of War, che dopo sei anni d'assenza torna con un nuovo action-movie futuristico in cui le realtà manipolate e l'antropologia fantascientifica, suoi temi dominanti, vengono riproposte sullo schermo all'interno di una società futuribile in cui l'umanità è sottoposta ad una "struggle for life" frenetica e inquietante .
Questa volta sceglie come protagonista la stella del pop Justine Timberlake che interpreta l'intrepido Wills Salas, un giovane abitante di un futuro distopico in cui il gene dell'invecchiamento è stato debellato. Allo scattare del venticinquesimo anno d'età si smette d'invecchiare e sul braccio di ognuno appare un countdown con i giorni, le ore e i minuti che mancano alla fine della propria esistenza. Will abita con la madre in un quartiere povero in cui la corsa alla sopravvivenza è giornaliera, ogni mattina ha solo 22 ore per lavorare e cercare di guadagnarsi altro tempo prezioso per vivere ancora un giorno. A qualche miglio di distanza pero' c'è la società perfetta dei miliardari di New Greenwich con all'attivo centinaia di anni e più da spendere che ambisce all'eternità e vive giornate oziose lontane da pericoli per timore di perderla.

All'interno di una società futuribile e una divisione architettonica rigorosa degli spazi, Niccol s'interroga nuovamente sul destino dell'umanità, in cui smettiamo di essere persone e diventiamo merce, scambiabile e trattabile nel mercato della vita. Come già nel suo piccolo capolavoro sci-fi di qualche anno fa, Gattaca, la società è suddivisa in due classi, i poveri mortali e i ricchi immortali, scartando l'ipotesi di superiorità genetica per propendere verso quella socio-economica come disuguaglianza sociale. Lo spunto di partenza è stimolante e conturbante ma il risultato finale non è all'altezza delle aspettative. I contenuti etici, morali ed estetici non vengono approfonditi a dovere a discapito di una spettacolarizzazione eccessiva e a volte perfino fuori luogo. Nel dipanarsi la storia perde mordente ed originalità cadendo nel convenzionale e nella prolissità avvitandosi su sé stesso con conseguente prevedibilità dello sviluppo narrativo che alla lunga risulta farraginoso e asettico.
Justin Timberlake e Amanda Seyfried dal canto loro non hanno il carisma e l'appeal necessario per reggere la pellicola e contribuire a dare spessore alla psicologia dei personaggi.
Quella che poteva ambire a diventare una nuova pellicola di culto di genere si rivela un ordinario film d'intrattenimento di fantascienza, come un amante gentile che seduce, illude ed abbandona presto.


VOTO 6

giovedì 17 maggio 2012

Young Adult


Regia: Jason Reitman
Produzione: Paramount Pictures
Sceneggiatura: Diablo Cody
Fotografia: Eric Steelberg
Montaggio: Dana E. Glauberman
Scenografie: Kevin Thompson
Musiche: Rolfe Kent
Costumi: David C. Robinson
Con: Charlize Theron, Patton Oswalt, Patrick Wilson
Durata: 94'









Mavis Gary (Charlize Theron) è una scrittrice ghost-writer di libri adolescenziali di successo ormai in declino che ritorna nella piccola cittadina dove è cresciuta per reclamare il suo ex-fidanzato del liceo Buddy Slade (Patrick Wilson), oggi felicemente sposato. Questo ritorno a casa sarà più difficile di quanto pensasse, Mavis intesserà un legame insolito con un vecchio compagno di classe Matt (Patton Oswalt) con il quale non ha mai avuto rapporti dai tempi del liceo.

L'accoppiata di successo Jason Reitman, regista – Diablo Cody, sceneggiatrice torna a collaborare dopo il successo planetario di un film a basso budget come “Juno “ del 2007 che ottenne alcune candidature agli oscar consegnando alla blogger Cody la statuetta per la miglior sceneggiatura originale. Non c'è più la vita di un'adolescente da scandagliare ma quella di una “young adult” termine con il quale il marketing identifica prodotti culturali adatti ad un pubblico che varia dai 14 anni fino alla soglia dei trenta. L'ossimorico titolo pero' identifica anche lo stato di Mavis - la protagonista interpretata splendidamente dalla bravissima Charlize Theron – tutti invecchiano, ma non tutti crescono.

Reitman dirige una sorta di anti-commedia che decostruisce gli archetipi e gli stilemi tipici del genere, prende di petto la commedia romantica e la capovolge tratteggiando a tinte fosche un personaggio femminile a tutto tondo come non se ne vedevano da tempo, superficiale, politicamente scorretta e sboccata, una stronza perfetta (ndr. l’aggettivo utilizzato dal regista per definirla è passive aggressive mean bitch) capace di generare un empatia riluttante, adorabile e detestabile al contempo, tipologia di personaggio che sul grande schermo avevamo visto solo con personaggi maschili.
Il figlio d'arte Reitman (il padre Ivan Reitman anch'esso regista di successo) si conferma uno dei migliori registi della sua generazione, acuto indagatore della società americana odierna che dirige un film originale tutto giocato sui contrasti, sia a livello visivo che drammaturgico, coadiuvata dal talento della scrittrice Diablo Cody che riversa nel personaggio di Mavis tutte le angoscie, le sfumature psicologiche e l'ironia dissacrante che le appartengono opportunamente e magistralmente riportate sullo schermo dall'estro e la grazia di una perfetta Charlize Theron, ad oggi una delle attrici migliori e poliedriche dello star system.




VOTO 7



lunedì 23 aprile 2012

John Carter


Regia: Andrew Stanton
Produzione: Walt Disney Pictures; Pixar Animation Studios
Sceneggiatura: Andrew Stanton, Mark Andrews, Michael Chabon
Fotografia: Daniel Mindel
Montaggio: Erik Zumbrunnen
Scenografie: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo
Musiche: Michael Giacchino
Costumi: Mayes C. Rubeo
Con: Taylor Kitsch, Lynn Collins, Samantha Morton, Willem Dafoe
Durata: 132'






John Carter è un soldato americano, veterano della settima cavalleggeri (come il suo autore) nella guerra civile che per una misteriosa concatenazione di eventi finisce per essere catapultato su Marte, dove a causa della ridotta forza gravitazionale del pianeta rosso scoprirà di avere doti eccezzionali, capacità che torneranno utili nel momento in cui verrà coinvolto nella guerra civile che impazza tra le razze del pianeta che i locali abitanti chiamano Barsoom.
Era il 1912, esattamente cento anni fa , quando lo scrittore americano Edgar Rice Burroghs (l'autore letterario di Tarzan) il padre di tutta la narrativa che combina la fantascienza con il fantasy dà alla luce il primo dei romanzi del ciclo di Barsoom incentrati sul personaggio di John Carter.
La saga di culto che più di tutte è stata fonte d'ispirazione per tutti gli scrittori più importanti del genere come H.P. Lovecraft, Arthur C. Clark, Ray Bradbury etc.. ed autori di cinema del calibro di George Lucas e non ultimo James Cameron.
In poche parole John Carter è l'archetipo di tutti i personaggi fantasy moderni, un eroe dei due mondi anti-litteram, prototipo di tutti i rimandi nell'iconografia e l'immaginario di saghe popolari moderne quali Star Trek, Star Wars e Avatar che devono molto al personaggio nato dalla penna e la fantasia di Burrohgs.

John Lasseter e Andrew Stanton, menti e guru della Pixar, ancor prima che fosse inglobata dalla Walt Disney, gongolavano all'idea di portare sul grande schermo un colossal sulle vicende marziane di John Carter. Impresa più volte tentata in passato ma mai portata a termine. Sin dagli anni 30, Bob Clampett, il regista dei Looney Tunes, voleva farne il primo lungometraggio animato della storia, ma le poche sequenze girate non passarono il test del pubblico e il progetto venne abbandonato lasciando così alla Biancaneve della Disney lo storico primato.
Negli anni 80 si tentò di nuovo di imbastire un progetto cinematografico, sulla scia dei successi dei film di fantascienza dell'epoca la Disney ritenne la saga su John Carter una valida e potenziale alternativa a Star Wars coinvolgendo nel progetto John McTiernan e Tom Cruise. Il regista pero' non ritenne valido lo stato degli effetti speciali del tempo per poter ricreare degnamente l'universo immaginato da Burroghs e anche questo progetto naufragò.
Nel frattempo i diritti del primo romanzo divennero di pubblico dominio e nessuna major di Hollywood voleva investire tanti soldi in un una proprietà intellettuale che poteva essere saccheggiata da chiunque, sul mercato di massa ormai percepita come un'idea obsoleta e poco originale dopo i successi planetari di Star Wars e Star Trek.

Ed e qui che entra in gioco la Pixar secondo cui John Carter sarebbe dovuto essere il primo film con attori in carne ed ossa dello studio guidato da John Lasseter che per la regia sceglie Andrew Stanton, premio oscar per Miglior film d'animazione con “Alla ricerca di Nemo” e “Wall-E” coadiuvato alla sceneggiatura con il premio Pulitzer Michael Chabon uno dei massimi esperti al mondo in miti popolari.
Andrew Stanton è uno dei fan sin da ragazzino della saga creata da Burroghs, ed ha personalmente acquisito i diritti cinematografici del personaggio pagandoli di tasca propria, covando sotto la cenere il suo più ambizioso progetto reso possibile solo dopo i successi, i soldi e i premi ottenuti con i suoi film con la Pixar.
La Disney diviene produttrice del film con un budget faraonico (si parla di 300 milioni di dollari) ma il risultato è all'altezza delle aspettative?

E qui subentrano tutti i dubbi in una pellicola che paga troppo dazio alle innumerevoli produzioni di genere succedutesi nel corso dei decenni che insieme ad una campagna pubblicitaria totalmente mal calibrata (lo hanno fatto sembrare un film per ragazzini) ne hanno decretato il fragoroso tonfo ai botteghini di tutto il mondo.
Eppure Stanton cerca di dare il suo meglio concentrando in poco più di due ore un materiale narrativo ed emotivo imponente, grazie ad un comparto visivo strabiliante dato dagli effetti speciali straordinari ma non eccessivi, la splendida fotografia di Daniel Mindel , l'eccellente montaggio di Eric Zumbrunnen (collaboratore di fiducia di Spike Jonze) e la preziosa colonna sonora scritta dal premio oscar Michael Giacchino.
Ovviamente la sceneggiatura soffre nel dover condensare un lungo romanzo in un blockbuster condiscendente ai bisogni fisiologici del grande pubblico e rende necessari passaggi didascalici e voce fuori campo in più punti per far intuire meglio cosa accade, ma la cura dei dettagli ed il lavoro certosino di tipica fattura Pixar bilanciano tutti i limiti del caso rendendo questo adventure fantasy meritevole di entrare nell'immaginario collettivo del genere ma che finirà nell'affollato dimenticatoio delle occasioni perdute. Come il sequel annunciato e poi abortito in seguito agli scarsi incassi.


VOTO 6,5


lunedì 2 aprile 2012

Hugo Cabret


Regia: Martin Scorsese
Distribuzione: 01 Distribution
Sceneggiatura: John Logan
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Scenografie: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo
Musiche: Howard Shore
Costumi: Francesca Lo Schiavo
Con: Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ben Kingsley, Jude Law, Sacha Baron Cohen
Durata: 127'








Il 2011 verrà ricordato come l'anno in cui il grande cinema è tornato a posare il suo potente sguardo al passato, agli albori del cinema come i due film trionfatori agli ultimi oscar “The Artist” e “Hugo Cabret”, all'epoca d'oro artistica in “Midnight in Paris” e in tempi più recenti con “The Help”.
L'opera di recupero della storia del cinema e di restauro di alcune vecchie pellicole indirizzate alle nuove generazioni è divenuta la principale occupazione e premura dell'ormai settantenne Martin Scorsese, - ora alle prese ora con “C'era una volta in America” di Sergio Leone commissionato dai suoi familiari – ma si esplica in maniera più consistente e convincente con la trasposizione sul grande schermo del romanzo “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” di Brian Selznick. Una sfida interessante anzitutto perché per la prima volta il regista di origini italo-americane si cimenta con un film indirizzato ad un pubblico giovanile nonché per la curiosità circa l'utilizzo del 3D da parte di un grande autore.

Siamo nella Parigi degli anni 30, nella stazione di Montparnasse vive Hugo Cabret un ragazzino orfano che dopo la scomparsa dello zio ne prende il posto di lavoro come tecnico orologiaio all'insaputa di tutti. La sua vera passione pero' è rivolta verso un vecchio automa con cui insieme al padre qualche tempo prima che morisse in un incendio, passava le giornate cercando di riaggiustarlo. Hugo crede che quell'antico automa scrivano contenga l'ultimo messaggio del padre defunto e pur di farlo funzionare sottrae alcuni pezzi all'anziano giocattolaio della stazione finché non viene colto in flagrante e sarà costretto a lavorare per il vecchio George ed estinguere il suo debito.

La passione viscerale per il cinema viene sciorinata in ogni inquadratura da Scorsese, cimentandosi con le nuove tecnologie digitali e tridimensionali, con cui indica soluzioni e potenzialità del nuovo mezzo.
Dirige un opera contemporanea farcita di allusioni e citazioni (Pabst, Lumiere, Fellini, Keaton, Chaplin, Murnau etc..) ad un tempo perduto, un omaggio sincero e potente alla Settima Arte che è un godere per gli occhi ed il cuore.
Quel cuore che è chiave del meccanismo filmico rappresentato metaforicamente dall'enigmatico automa che campeggia nella vicenda.
Grazie anche alle splendide scenografie di Dante Ferretti di cui usufruisce, il 3D diviene funzionale alla narrazione, espressione stilistica e linguaggio d'immagini con potenzialità tutte da vagliare e scoprire con cui Scorsese sembra indicare nuovi scorci narrativi ai futuri registi.
La favola moderna di Hugo è intrisa di magìa, di commozione e meraviglia, il romanzo di formazione alla Oliver Twist intrattiene forse un po' farraginosamente la prima parte del film ed esplode successivamente in un tripudio di immagini, colori e sontuosità visive nella seconda. Omaggiare Meliès, il prestigiatore delle immagini per eccellenza e fautore di un cinema pensato come incanto e prodigio, è un monito e consiglio al tempo stesso di non abbandonare lo stupore e la meraviglia a cui il cinema sottende. Le nuove prospettive tecnologiche divengo con il maestro Scorsese opportunità e non ostacoli per riassemblare insieme i pezzi di quel grande meccanismo, quella dream machine che era, è e sarà sempre il cinema. Grazie Martin per avercelo ribadito!

VOTO 7,5

giovedì 16 febbraio 2012

Rassegna cinematografica "Punti di vista" terza ed.



Dopo il successo delle precedenti edizioni e a grande richiesta torna a Lanciano (Chieti) il cinema d'autore.
"I soliti ignoti" in collaborazione con Ciakcity cinema di Lanciano tornano con la terza edizione dell'acclamata rassegna di film d'essai perduti tra le maglie (sempre più strette per le pellicole indipendenti) della grande distribuzione cinematografica.
Sette gli appuntamenti che come di consueto allieteranno i martedì dei cinefili della zona a partire dal 21 febbraio fino al 3 aprile.
L'abbonamento per l'intera rassegna costerà 23 euro mentre il biglietto singolo 5 euro.
Questa la lista dei film e le date:



Come sempre le visioni saranno precedute da una piccola presentazione del de-romantico per una visione più consapevole riguardo la genesi della pellicola in questione.

Grafica by morango

mercoledì 15 febbraio 2012

The Help


Regia: Tate Taylor
Distribuzione: Touchstone pictures
Sceneggiatura: Tate Taylor
Fotografia: Stephen Goldblatt
Montaggio: Hervè De Luze
Scenografie: Mark Ricker
Musiche: Thomas Newman
Genere: Drammatico
Con: Emma Stone, Viola Davis, Jessica Chastain, Octavia Spencer
Durata: 137'








Siamo negli anni 60 a Jackson in Mississipi, Eugenia “Skeeter” Pelan (Emma Stone) torna a vivere a casa dopo gli anni universitari ma a differenza delle sue coetanee Skeeter è interessata soprattutto alla sua carriera piuttosto che mettere su famglia con relativa prole con grande costernazione da parte delle amiche già sposate e sua madre.
Trova un impiego presso un giornale locale in cui deve rispondere alla posta delle casalinghe ma impreparata sull'argomento inizia a farsi consigliare dalla domestica di una sua amica, Aibileen (ViolaDavis) che lentamente inizia a raccontarle la commovente storia della sua vita.
Skeeter, incoraggiata da un importante editore newyorkese, inizia a lavorare in segreto ad un progetto letterario in cui sono coinvolte altre cameriere di colore della città amiche di Aibileen e le loro storie, lavoro che mira a svelare i più radicati pregiudizi razziali della piccola comunità di Jackson ed un grido di speranza che scuota la nazione intera.

È la storia di una favola reale, di un progetto fortemente voluto e coronato da ben 4 nomination all'oscar. Ma andiamo con ordine. Il regista Tate Taylor e la scrittrice Katryn Stockett sono nati e cresciuti proprio a Jackson nonché amici da sempre. Prima di pubblicare l'omonimo romanzo (che poi sarebbe diventato un caso letterario ed un grandissimo best seller) la Stockett se lo è visto rifiutare dalle case editrici ben sessanta volte. L'amico regista Taylor dopo aver letto il manoscritto e prima ancora che fosse pubblicato decise immediatamente di acquistarne i diritti per farne un film. Propose il progetto al produttore Brunson Green, anch'egli di Jackson ed insieme decisero di trovare una società di produzione che fosse disposta a finanziare il progetto. Dopo vari anni i loro sforzi furono premiati e  finalmente il progetto si concretizza grazie anche all'interesse della Dreamworks; il seguito è storia recente. Costato appena 25 milioni di dollari solo negli Stati Uniti sbanca il botteghino incassandone 170, plausi entusiastici anche dalla critica e conseguenti nomination ai premi oscar 2012.

Quali sono le ragioni di tale successo? 
Anzittuto le interpreti, cast eccezionale tutto femminile (Viola Davis, Octavia Spencer e JessicaChastain tutte candidate all'oscar eccetto la pur brava Emma Stone) che in un film corale fa la differenza. E poi il décor patinato degli anni 50 tornato in voga oggi, con l'abbigliamento, gli abiti e le pettinature che nell'era della retròmania attuale s'incastra alla perfezione. Menzioni particolari alla spettacolare scenografia di Mark Ricker e la vivace fotografia di Stephen Goldblatt. Tutti ingredienti che miscelati a dovere hanno contribuito all'inaspettato successo della pellicola.
Certo la sceneggiatura è probabilmente il punto debole - classica e un po' ruffiana - che non piacerà ad una certa critica “raffinata”, ma i temi dell'intollerenza e dei pregiudizi razziali qui sono dipanati con profonda autenticità, seppur con fatti inventati tant'é che lo stesso regista ha dichiarato che negli anni sessanta in una città come Jackson era alquanto improbabile una cooperazione tra diverse cameriere di colore. La messa in scena pero' relega in secondo piano le fredde congetture razionali per lasciare spazio ed abbandonarsi al tepore caldo e confortante delle emozioni sciorinate a più riprese durante la durata (lunga) del film.

Perfettamente bilanciata tra ironia e drammaticità la pellicola di Taylor dribbla gli scetticismi iniziali e le accuse di inautenticità storica con una regia pulita e non ingombrante che punta tutto sul valorizzare le straordinarie interpreti sottolineando ancora una volta come il tema razziale rappresenti una ferita ancora aperta negli Stati Uniti  - oltreché materiale sempre pregiato per sceneggiature hollywoodiane di successo - attestandosi prepotentemente con nuovo ardore nel filone dei grandi classici del genere quali “Il buio oltre la siepe” “Lalunga strada verso casa” e “Il colore viola”.


VOTO 7

domenica 5 febbraio 2012

I migliori film del 2011

10 - SOURCE CODE di Duncan Jones


Duncan Jones - dopo lo straordinario esordio con "Moon" - rinnova quella tensione ed utilizza la fantascienza come espediente per indagare le dinamiche più oscure ed intime dell’animo umano, e con il suo ausilio elabora una grammatica introspettiva che scandaglia la psiche e concentra l’attenzione sul tema portante dell’identità. Bowie junior è abile a fondere le istanze della fantascienza classica con i blockbuster moderni, senza pagare dazio all’intrattenimento con la sofisticatezza del proprio sguardo, sviluppato con uno stile concreto ed impeccabile.
Dentro tanta materia cerebrale batte un cuore caldo. Bentornata fantascienza, ci eri mancata.


Come rovinare un film grazie ad un titolo ridicolo (l'originale "The Guard" ossia La guardia) e una locandina peggiore grazie ai distributori italiani. Una black comedy eccentrica ed imprevedibile, condito dall'inimitabile humour irlandese, sulla figura insolita e solitaria di un personaggio da western al tramonto interpretato a un superbo Brendan Gleeson candidato al Golden Globe per il ruolo. Sorprendente esordio dietro la macchina da presa per lo sceneggiatore McDonagh (fratello del McDonagh autore di "In Bruges"). Amara, esilarante e originale e politicamente scorretta “The Guard” è una delle migliori commedie delle commedie dell'anno ed una pellicola che lascia il segno.








Roman Polanski torna in grande stile con un'opera tratta dalle fortunata pièce teatrale della  drammaturga francese Yasmine Reza (che collabora alla sceneggiatura) intitolata “Il dio della carneficina”. Sorretto da un cast eccezionale con ben tre premi oscar, Kate Winslet Jodie Foster e  Christopher Waltz e il sorprendente John C. Reilly ma soprattutto da una sceneggiatura che si avvale di ottimi dialoghi che incalzano la narrazione senza tediare o perdite di ritmo.
Essenzialmente “Carnage” è un film sull’incomunicabilità dell’essere umano, in una società che involve antropologicamente tornando alle primordiali lotte di sopravvivenza animali nella giungla umana per stabilire il primato. La teatralità della messa in scena non soffoca il potenziale visivo e narrativo bensì ne esalta i punti di forza che rendono questa  commedia cinica e spietata.




Attingendo a piene mani dalle proprie esperienze
adolescenziali, il regista Shane Meadows traccia il ritratto di un momento di storia culturale inglese spesso trascurato. Sullo sfondo di una deprimente cittadina, siamo i testimoni di un traumatico rito di passaggio, sia culturale che personale, osservato attraverso gli occhi di un ragazzino.
La parabola del giovane Shaun diventa così una metafora per una intera nazione, incapace di emergere da una situazione drammatica se non con il conformismo di una mentalità che cerca la forza nel gruppo ma non riconosce la dignità dell’altro. Una pellicola indipendente dura e coraggiosa che solo dopo cinque anni è stata distribuita nel nostro paese ma che è divenuta subito un piccolo cult. 












6 - LE IDI DI MARZO di George Clooney


Il pallino del Clooney regista è la politica ed al suo quarto cortometraggio continua ad indagare tra le pieghe del potere con una vicenda che si sviluppa tutta dietro le quinte  in un susseguirsi di dialoghi serrati e tensione crescente grazie ad una messa in scena sofisticata ma dall'impalcatura narrativa classica. Circondato da un cast d'attori di prim'ordine (Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Ryan Gosling, Evan Rachel Wood, Marisa Tomei) il bel George è abile a dirigere e orchestrare un thriller politico impegnato e patinato che riporta in auge il cinema americano che mette in campo lo star system di Hollywood all'impegno civile.














5 - WARRIOR di Gavin O'Connor


Una delle vere sorprese dell'anno. O'Connor gira un film sulla redenzione attraverso la metafora tematica tanto cara ed abusata del ring come occasione di riscatto. Ma qui siamo lontani dai canoni hollywoodiani, il suo è un cinema fatto di corpi piegati dalla volontà, che vola alto schivando a più riprese i cliché e le dinamiche del genere. Un trionfo commovente di perdent,i essenziale, scarno e votato tutto sulla fisicità e la spettacolarità dei combattimenti. 
Una storia possente e solenne che rimane negli occhi e si conficca sottopelle. 


















4 - NON LASCIARMI di Mark Romanek


Cupo, malinconico ed elegante il film di Mark Romanek è una storia d’amore atipica, insolita ed angosciante tratta dal bellissimo romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro che si poggia sul genere fantascientifico pur non attingendo a nessun crisma del genere. La storia di tre anime che crescono, amano e soffrono cercando di dare un senso alle loro esistenze, accettando con composto dolore il loro tragico ed ineluttabile destino. 






















3 - DRIVE di Nicolas Winding Refn



Refn gira un film di genere cinico ed originale che evita le trappole hollywoodiane del conformismo e soprattutto quelle del dejavù riuscendo ad articolare un meccanismo perfetto che si avvale di un montaggio straniante, angolazioni insolite che creano sorprendenti composizioni visive che si sincronizzano perfettamente con l'emotività e la tensione pulsante che viene sciorinata nella pellicola. Incastrando una storia d'amore in un noir pulp difficile da dimenticare. Premio miglior regia al Festival di Cannes.
Un regista da seguire che si conferma uno dei migliori autori visionari dell'ultima generazione.
















2 - THE ARTIST di Michel Hanazavicius


Il caso dell'anno. Una dichiarazione d'amore alla settima arte che in piena era digitale e tridimensionale torna alle origini del cinema, all'epoca del muto e del bianco e nero in un'opera indimenticabile, un gioiellino destinato a far breccia nei cuori di tutti i cinefili innamorati di quest'arte. Un'opera tenera e leggera realizzata con stile e grazia d'altri tempi ma con piglio moderno. Ritmo, eleganza e passione sono gli ingredienti esplosivi di un film che rimarrà negli annali di storia del cinema e che regala in sala un esperienza sensoriale diversa, tutta giocata sulle immagini e lo splendido sonoro che accompagna la narrazione. Imperdibile.
















1- THE TREE OF LIFE di Terrence Malick


Il film più atteso dell'anno. Ancora più complessa di quanto fosse lecito attenderci. Le origini della vita in un percorso che attraversa spazio, tempo e memoria alla ricerca intima e umana del senso di tutto ciò che esiste. La mitologia dell'anima, contrasto tra natura e grazia secondo Terrence Malick, che parte dal privato per giungere all'universale in un gioco di metafore, simboli, dialoghi in una sinfonia d'immagini complessa e affascinante per raccontare la storia di una famiglia americana degli anni 50 come se fosse solo una cellula infinitesimale ma palpitante nel cosmo e nel processo di creazione.
Un film immenso che non si esaurisce nella semplice visione, che ne necessita ulteriori e ridisegna i confini stessi del cinema e che probabilmente non è nemmeno di questa epoca.

mercoledì 1 febbraio 2012

Le migliori canzoni del 2011 part 2

10 - THE CROOKES - Bloodshot days 
Freschi, giovani e cool i ragazzini di Sheffield saccheggiano l'armamentario musicale britannico degli anni 80 rielaborandolo per i palati degli anni zero in una miscela frizzante e leggera di brit-pop sincero ed immediato. Come questo brano che ricorda i pomeriggi adolescenziali passati ad ascoltare gli Smiths in cameretta il sabato pomeriggio. Morrissey mood esplicito in questa song.



9 - GRUFF RHYS - Shark ridden waters
Il leader dei Super Furry Animals partorisce un album patellato e melodico, arrangiamenti curati e cura dei dettagli certosina come sempre. Ogni canzone è una boccettina di shampoo colorata che contiene una miscela equilibrata di Pop e Psichedelia. A metà strada tra Brian Wilson dei Beach Boys e Burt Bacarach come in questo splendido singolo dal gusto vintage.



8 - CAKE - Long time
Il pregio della rodata band californiana è quello di avere un sound riconoscibile al primo ascolto, posseggono quella leggerezza capace di rendere quelle le giornate storte o uggiose più lievi, e quelle solari e raggianti ancora più radiose. Da vent'anni le loro songs sono pezzi di torta che insaporiscono e impreziosiscono le giornate. Come questo singolo irresistibile che fa da colonna sonora anche per il magnifico finale della prima stagione della serie tv Shameless che è già cult. (Non conoscete Shameless?? siete pregati di lasciare immediatamente questo blog)



7 - I CANI - Le coppie
I cani sono una delle band più interessanti del panorama indie italiano ed il loro esordio è una delle sorprese più convincenti ed originali di questo 2011.
Qui vi proponiamo il brano simbolo che impazza in rete insieme al video girato dal filmaker lancianese Bennet Pimpinella. E ricordate che "La statistica afferma che spesso chi dà il primo bacio nel seguito del primo amplesso sarà quello che ne uscirà male".





6 - WILD BEASTS - Albatross
Il synth-pop sofisticato e sensuale sciorinato a colpi di falsetto del leader Hayden Thorpe, seduce e accarezza da ogni prospettiva musicale si guardi. Si canta l'amore passionale, carnale e viscerale quello che sgorga dal desiderio e fluisce e si perde sulla pelle.
Questo singolo ondeggia sinuoso e lezioso che stringe senza soffocare. 



5 - THE KILLS - Satellite
Punk, rock, blues e melodia. Da sempre sono questi gli ingredienti del duo americano: la voce ruvida e sensuale di Alison Mosshart si fonde con la chitarra sporca e maledetta di Jamie Hince, noto alle cronache per aver portato all'altare la modella bad-girl Kate Moss.
Il risultato produce tra le altre questo singolo dannatamente ammaliante, con quel ritmo in levare, drum machine e cori che invitano a danze dionisiache orge di sensi.





4 - GIRLS - My ma
Si fanno chiamare GIRLS ma è un duo di ragazzi talentuosi di San Francisco. Il loro secondo album "Father, son, holy, ghost" è un piccolo capolavoro e tra le tante perle c'è questa meno celebre ballata retrò spalmata su un tappeto di hammond sussurrata, struggente e delicata. Come un tramonto, come un ricordo, come un addio.



3 - JAMES BLAKE - Limit to your love
Ascoltare questo ragazzo inglese di vent'anni con una voce soavemente angelica e al contempo seducentemente luciferina è come essere fermi su di un giaciglio ad osservare ciò che la musica è ora ma soprattutto come sarà domani. Il dubstep è l'unico nuovo genere interessante e scevro, privo di coordinate sul quale sperimentare e che da qui in avanti darà soddisfazioni ai palati sonori. Qui questo genere flirta pesantemente con il pop in una sintassi sonora affascinante ed avvolgente trasformando un brano di Feist in un gioiellino che traccia il confine tra la vecchia concezione di musica pop ed il nuovo. Fermiamoci ed osserviamo il futuro che albeggia dinanzi a noi.



2 - JOSEPH ARTHUR - Out on a limb
La malinconia è un limbo, un luogo di confine situato al confine tra la tristezza ed i bei ricordi. Il cantautore americano torna con un album più maturo, d'impostazione classica con ballate pronte a scaldare l'inverno, dal sapore di cose perdute, aneliti di tempi andati. Da ascoltare con la neve o in una giornata di pioggia, davanti ad un camino in cerca di calore mentre ci si abbandona ai ricordi. La malinconia come manto con cui scaldarsi e difendersi.
Questo brano è l'ultimo sguardo su un amore che finisce e sfila via tra le dita.



1- THE BLACK KEYS - Lonely boy
Il duo di Akron utilizza gli stessi ingredienti di sempre: chitarra e batteria in un mix esplosivo semplice ed esplosivo. Dentro c'è il blues, il rock ed il soul e grazie alla produzione di Danger Mouse la cui miscela li trasforma nella band più cool del pianeta. Questo singolo vintage che celebra il rock seventies ne è l'emblema pronto a infiammare i dancefloor con un video con l'omino che danza sulle note della canzone, semplice e divertente divenuto già un cult in rete.
Irresistibile.



0 - DIRTY BEACHES - Lord knows best
Dai lerci scantinati di periferia alle snob platee hipster. Lui è Alex Zhang Hungtai nato a Taiwan, cresciuto alle Hawaai e residente in Canada. La sua musica è uno splendido ibrido tra Suicide, Elvis Presley, David Lynch ed il noise in bassa fedeltà.  Uno sconosciuto che è divenuto paladino e voce dell'underground che dedica il proprio disco al padre omaggiando la musica che egli amava: il sound americano anni 50 quella dei crooner come Ray Orbison.
Riprendendo quelle atmosfere, con pochi mezzi a disposizione e quindi una qualità necessariamente lo-fi a cui sopperisce con idee e talento.
Questo singolo è un lento che sembra provenire da un vecchio vinile, orchestrato su un loop pianistico da cui emerge timida e affranta una voce d'altri tempi carica di dolente romanticismo. Semplice e geniale. Il brano zero dell'anno.