martedì 31 dicembre 2013

I migliori film del 2013

10 - NOI SIAMO INFINITO

Credevamo che i bei 'teen movie' fossero spariti, poi è arrivato Stephen Chbosky regista esordiente che adatta per il grande schermo il suo romanzo"The perks of being a wallflower" (che tradotto suona più o meno "I benefici dell'essere schivi") a ricordarci che non è così, dirigendo con grazia uno dei più bei film dell'anno.
La storia di un "ragazzo da parete" destinato a rimanere confinato nell'angolo che prende in mano il suo destino, deciso a combattere i fantasmi di un passato doloroso e cambiare la propria vita di adolescente problematico. Delicato e struggente, semplice e commovente come solo le emozioni magiche e eterne dell'adolescenza sa regalare. Un film da custodire in silenzio.





9 - NO - I giorni dell'arcobaleno

Il film del regista cileno Pablo Larrain è stato una delle sorprese dell'anno entrando persino nella cinquina finale dei nominati a 'Miglior film straniero' agli oscar. Riprodotto con il look anni 80 e girato con vecchie cineprese d'epoca, Larrain narra una vicenda politica realmente accaduta, che apparentemente ricostruisce la campagna pubblicitaria che, sotto il segno dell'arcobaleno, portò l'opposizione cilena a combattere il generale Augusto Pinochet, ma che in realtà finisce per rivelare ben altre componenti, più profonde e complesse. No è uno splendido esempio di un genere insolito, un film appassionante come un thriller, teso come un dramma politico, toccante come una commedia sentimentale, mentre parla di un argomento che sulla carta sembrerebbe noiosissimo come una campagna pubblicitaria per un referendum. Imperdibile.



8 - LOOPER

Lo sci-fi dell'anno è opera di un promettente regista, tale Ryan Johnson da tenere d'occhio che con questo thriller fantascientifico che riprende la tematica abusata dei viaggi nel tempo, dandole nuova linfa basandosi tutto sulla solidità della sceneggiatura, impreziosita da un'estetica accurata e che strizza l'occhio ai vecchi b-movie e una tecnica spettacolare ma mai fine a se stessa.
Un allegoria su un futuro distopico che s'interroga sulla dicotomia ineluttabile azione/conseguenza applicato all'arco esistenziale della vita di un uomo.
Una delle perle sottovalutate della stagione da recuperare decisamente.






7 - RUSH

Il miglior film di Ron Howard, che paradossalmente è anche il meno premiato. Non solo un film sportivo e probabilmente il migliore mai girato sul mondo adrenalinico della Formula 1 ma anche un duello umano e morale tra due uomini con differenti prospettive rispetto alla vita, scritto da Peter Morgan (una delle migliori penne cinematografiche degli anni recenti).
Una lezione di bravura tecnica dell'ex ragazzo di Happy Days, che giustifica i suoi oscar dietro la macchina da presa con riprese d'azione e angolature mozzafiato mai viste e soprattutto mai fine a se stesse, riuscendo a dribblare le difficoltà del genere biografico trovando l'amalgama perfetta tra l'anima blockbuster e le velleità autoriali.
Un film teso e adrenalinico con un cuore pulsante e un anima appassionata.




6 - FLIGHT

Robert Zemeckis, regista di culto (Ritorno al futuro, Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Forrest Gump) dopo essersi impantanato un decennio con i progetto cinematografici in motion capture torna al cinema classico che ne aveva decretato il successo e la pioggia di oscar.
Una storia classica, quella 
del pilota eroe, perseguitato dai suoi demoni interiori, dominata dalla figura imponente di Denzel Washington, in una delle migliori interpretazioni di sempre. Due ore di puro cinema, un volo cinematografico senza turbolenze di sorta, con alcune sequenze indimenticabili che sono giù un cult. Bentornato tra gli umani in carne ed ossa Robert! Ci eri mancato, davvero.






5 - RE DELLA TERRA SELVAGGIA

Il caso cinematografico dell'anno: un giovanesconosciuto  regista esordiente Benh Zeitlin con un piccolo film indipendente ottiene grappoli di nomination agli oscar nelle categorie principali, tra cui il primato della più piccola protagonista di sempre candidata per il ruolo.
Una favola allegorica di matrice ambientalista, che visivamente ci 
accompagna in un percorso farcito di realismo magico, in cui i contorni tra fiaba e realtà si mescolano e compenetrano con una cifra stilistica che s'inerpica leggiadra sul filo che divide la poesia dalla retorica.Una piccola e semplice storia che diviene racconto universale, struggente che ammalia e sussurra all'intimo di ognuno di noi.




4 - BLUE VALENTINE

Giunto in Italia con tre anni di ritardo l'opera prima di Derek Cianfrance è un film che s'imprime sotto pelle e non si dimentica. Un melodramma moderno che narra l'inizio e la fine di un'amore con lo sguardo vero e sincero senza filtri cinematografici che si regge sulle interpretazioni reali e strepitose di due attori in stato di grazia: Ryan Gosling e Michelle Williams.
Un racconto per immagini intimo, crudo, poetico e struggente come tutte le storie d'amore dovrebbero essere raccontate sul grande schermo.
Una delle perle nascoste della stagione.








3 - CLOUD ATLAS

Il film più sottovalutato dell'anno. Il progetto ambizioso dei fratelli Wachowski insieme al fido Tom Tykwer è stato quello di portare sul grande schermo un romanzo definito infilmabile: "L'atlante delle nuvole" di David Mitchell dalla struttura narrativa complessa e articolata, che si dipana storicamente su più secoli seppur tenute insieme da una sorta di connessione universale tra le anime che si agitano in questo mare temporale.
I tre registi riescono nell'impresa di tenere insieme le storie durante le tre ore di film, donandogli quel senso rivoluzionario che da sempre contraddistingue i suddetti senza tradire la sostanza del romanzo in un'opera pop visivamente strabiliante.




2 - LA GRANDE BELLEZZA

C'era una grande attesa attorno a quest'opera di Paolo Sorrentino, il miglio regista italiano attuale, con il suo onirico e decadente omaggio a Roma e La dolce vita di Fellini smarcandosene più del dovuto e continuando la sua ricerca poetica attraverso l'animo umano e i suoi meandri permeati di malinconia e rimpianti. Con uno stile più asciutto e asettico di sempre che fa leva sul suo istrione Tony Servillo, perfetto come sempre nei panni di Jep Gambardella, uno dei migliori personaggi scritti per lo schermo da tanti anni a questa parte.
Ridondante, pregna e mistica è l'opera più complessa e completa del regista napoletano qui all'apice del suo talento e della sua poetica visiva. Quanta bellezza, finalmente!






1 - IL LATO POSITIVO

La commedia che ha consacrato David O Russel nell'olimpo dei registi americani adattando lo splendido romanzo "L'orlo argenteo delle nuvole" di Matthew Quick grazie ad una direzione di un cast di attori superbi - Bradley Cooper, Robert De Niro e Jennifer Lawrence a cui è andato un oscar per il ruolo - e una cura sapiente degli ingredienti drammatici e della commedia coma pochi sanno fare.
Una gestione delle due anime del film perfetta, dosata a colpi di risate e lacrime per una di quelle pellicole che rappresentano un dono raro, per gli occhi, la mente ed il cuore e ci fanno capire l'importanza delle storie sul grande schermo la cui magia non sparirà mai.





0 - GRAVITY
Decisamente il film dell'anno. Il blockbuster d'autore fantascientifico di Alfonso Cuaron è l'esempio perfetto di come la tecnica sia tutt'uno con la verve autoriale, che conscio della lezione dei grandi registi del passato prende nuova forma e consistenza, parlando attraverso un film di genere con estetica minimalista della realtà contemporanea utilizzando il nuovo linguaggio filmico della terza dimensione che qui s'innesta ad un nuovo livello di soluzione narrativa e di messa in scena.
Sperimentando tra teatro di posa e 3D, in cui l'atto del guardare diviene necessità primaria senza la quale non potremmo essere e quindi esistere.
Un'opera complessa, visionaria sulla natura e sull'uomo e la sua caducità, intensamente emotivo e con frangenti di nitida bellezza in cui tutti i dettagli fanno parte del grande mosaico cinematografico. Straordinariamente perfetto.

lunedì 16 dicembre 2013

Le migliori serie tv 2013


THE AMERICANS
Le vicende di una coppia di agenti segreti sovietici del KGB operanti illegalmente negli Stati Uniti negli anni ottanta durante la Guerra Fredda. Una delle migliori serie in circolazione avvincente e complessa immersa in uno scenario sofisticato e ricco di suspense. Definita da Stephen King la miglior serie dell'anno.






WILFRED
Sit-com americana con protagonista Elijah Wood (Il signore degli anelli) nei panni di Ryan, un avvocato depresso ad un passo dal suicidio a cui viene chiesto di accudire il cane della sua vicina, Wilfred che solo lui vede come un essere umano travestito da cane. Irriverente, politicamente scorretto, e verboso, prodotto da uno dei creatori de I Griffin David Zuckerman.


THE NEWSROOM
Creata dal genio premio oscar Aaron Sorkin (The social network) perla HBO la serie segue le vicende personali e lavorative dell'anchorman Will McAvoy interpretato da Jeff Daniels e di tutta la redazione del network statunitense ACN. Impianto teatrale, dialoghi serrati e incalzanti che tengono incollati allo schermo. Emmy Award per miglior interprete maschile.



UNDER THE DOME
Basata sul romanzo The Dome di Stephen King narra della cittadina del Maine di Chester's Mill, che inspiegabilmente si ritrova tagliata fuori dal resto del mondo a causa di un misterioso ed impenetrabile campo di forza che circonda la cittadina. Imperdibile per gli amanti dei serial misteriosi alla Lost










         



venerdì 11 ottobre 2013

RUSH

Regia di Ron Howard
Produzione:  USA 2012 01 Distribution
Sceneggiatura: Peter Morgan
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Musiche: Hans Zimmer
Scenografia: Mark Digby
Montaggio: Daniel P. Hanley, Mike Hill
Con: Chris Hemsworth, Daniel Bruhl, Olivia Wilde, Pierfrancesco Favino

Durata: 123’









Il due volte premio oscar Ron Howard torna a far coppia con lo sceneggiatore Peter Morgan, una delle penne cinematografiche migliori nel panorama odierno, ed anch’esso due volte nominato agli oscar. Dopo la felice esperienza di Frost/Nixon, duello storico tra due personaggi realmente esistiti, come in questo adrenalinico Rush ambientato nel mondo spietato e leggendario della Formula 1 e tutto incentrato sulla rivalità tra il talentuoso playboy inglese James Hunt (Chris Hemsworth) e il cinico e intransigente pilota austriaco Niki Lauda (Daniel Bruhl). La vicenda si sofferma sugli anni d’oro e glamour del circo della Formula 1 e precisamente sul tragico ed epico mondiale del 1976 che vede i due piloti battersi per il titolo iridato, mostrandoci le loro vite private e il loro approccio al mondo delle corse. Due caratteri opposti, due visioni differenti della vita e dello sport, amici e rivali a confronto in uno dei duelli più belli della storia sportiva.

Ci voleva nuovamente la raffinatezza della scrittura di Peter Morgan per valorizzare il talento dell’ex Richie Cunnigham che dopo le due statuette  e i blockbuster spazza botteghino (Il codice Da Vinci/Angeli e Demoni) sembrava offuscato e incatenato alle logiche nei meandri del mainstream senza alcuna velleità. Qui riesce a coniugare le due anime, seppur parlare di autorialità pare eccessivo, maneggiando le difficoltà del biopic movie oramai con leggiadria e competenza, con scene d’azione mai fine a se stesse, inquadrature mozzafiato ricche di prospettive differenti (primissimi piani, interno del casco, bordo pista, il muso della vettura) alternate ai bei momenti fuori dalle piste e nei confronti dialogati tra i due protagonisti. 

La scelta di una fotografia in grana grossa e con colori poco saturi risulta azzeccata, vintage e moderna al contempo con le musiche di Hans Zimmer perfettamente bilanciate tra velocità ed epicità. Un plauso anche ai due attori, decisamente a loro agio nei panni dei due piloti nonché fisicamente straordinariamente somiglianti. Ritmo, suspense, azione e una malinconia di sottofondo regalano al film un pathos narrativo teso e coinvolgente che fa della pellicola il miglior film sulla Formula 1 di sempre, restituendo appieno allo spettatore l’emozione di una sfida senza tempo. 
VOTO 7

mercoledì 31 luglio 2013

Le serie tv da non perdere 2013

DOWNTOWN ABBEY
Serie televisiva dell'anno, vincitrice di 6 Emmy Awards e un Golden Globes come miglior mini-serie è uno dei fenomeni seriali degli ultimi tempi. Una produzione anglo-americana in costume ambientata agli inizi del novecento durante la fine dell'età edoardiana nella fittizia tenuta nello Yorkshire che dà il titolo all'opera. Ascolti alle stelle per le sue puntate, scrittura raffinata e attori eccelsi per uno show che dal 2011 è nel Guinnes dei primati come show dell'anno più acclamato dalla critica e nel 2012 diviene la serie non americana ad ottenere più nomination agli Emmy award, ossia gli oscar televisivi. Decisamente imperdibile.



SHAMELESS
Basata sull'omonima serie originale inglese che narra le vicende di una disastrata famiglia della periferia di Chicago composta dal padre alcolizzato Frank (interpretato da un divino William H. Macy) ed i sei figli dei quali la maggiore, Fiona si prende cura di tutti. Sceneggiatura notevole, piena di ritmo, politicamente scorretta e dotata di un insolito umorismo ed ottimismo di fondo è una di quelle serie imperdibili che vi farà appassionare alle disavventure di questa famiglia disfunzionale che imparerete ad amare.

SHERLOCK
Una mini serie da tre puntate di novanta minuti circa, come dei film in pratica la cui terza stagione confermatissima è anch'essa in lavorazione. Versione adattata ai giorni nostri dei romanzi di sir Conan Doyle sul famoso investigatore Sherlock Holmes ed il suo assistente, il dottor Watson interpretati da due attori divenuti ora delle celebrità come il perfetto Benedict Cumberbatch (villain di successo nell'ultimo Star Trek) e Martin Freeman (il Bilbo Baggins della nuova trilogia di Peter Jackson, Lo Hobbit). Una serie arguta e priva d'imperfezioni che vi farà amare la cura dei dettagli.


BLACK MIRROR
La mini serie perfetta. Ogni stagione composta da tre episodi (la terza stagione è in fasi di lavorazione) ed ogni episodio ha trama e cast differenti. Unico comune denominatore è la tecnologia, lo schermo nero (il black mirror del titolo) dei telefoni, tv, computer e tablet. Gli effetti del progredire della tecnologia e dei media nelle nostre vite ed i suoi effetti nefasti in storie difficili da dimenticare. Bastano pochi minuti della prima puntata per farvi urlare al capolavoro. Vedere per credere.

martedì 16 luglio 2013

La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino
Produzione:  ITA 2012 Indigo Filmm Medusa Films
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino Umberto Contarello
Fotografia: Luca Bigazzi
Musiche: Lele Marchitelli
Montaggio: Cristiano Travagliolo
Con: Tony Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso

Durata: 150’









Erano tante le aspettative sul nuovo chiacchieratissimo film di Paolo Sorrentino, talentuoso artista piuttosto che mero regista, qui alla prova più ambiziosa e pretenziosa in concorso al festival di Cannes. Questa volta torna dalla Croisette a mani vuote e nessuna menzione ma subito riscattato al botteghino in cui risulta il suo film più visto di sempre.

Difficile recensire un’opera (più che un film) così ridondante, ammaliante, pregna, mistica e per certi versi metafisica persino. Tanta (troppa?) roba sul fuoco, ma siamo dalle parti del grande Cinema quello con la C maiuscola, che s’intravede sin dalla prima inquadratura, introdotto dalle celebri carrellate tanto care e imprescindibili al regista napoletano.
Una Roma ricca eppure vuota, un vuoto che porta un assenza di senso, come pure i personaggi che si agitano dentro il suo ventre e faticano a trovare un senso nelle cose.
Un corpo martoriato eppure splendido quello della città eterna, visto con uno sguardo famelico, impietoso eppure benevolo talvolta, dall’occhio ordinato e geometrico della cinepresa di Sorrentino, esaltato e corrotto dalla luce perfetta di Luca Bigazzi e sottolineato sontuosamente e drammaticamente dalle musiche di Lele Marchitelli.

Il personaggio di Jep Gambardella, il cui animo disincantato viene indelebilmente contaminato dalle molteplici tentazioni e la meraviglia della Capitale a cui spesso si affianca l’effimero, a cui è giunto presto dopo il precoce successo letterario giovanile, ed  incarnato in maniera sublime da Tony Servillo, attore feticcio e superbe interprete della poetica sorrentiniana a cui l’autore partenopeo conferisce tutta la sua aura ironica e intellettuale e quel cinismo malinconico e letterario che gli appartengono.
Seguiamo le vicende anti-narrative e i pensieri di Jep Gambardella con la dolce e tremenda percezione che non si vada da nessuna parte, un affresco poetico e sinuoso del nulla, così come Flaubert fece con il suo romanzo più famoso, una dichiarazione d’intenti artistica precisa e sottovalutata.

Il film si muove all’interno di un contesto sociale attuale, tipicamente italiano e prettamente romano e tenta arditamente di fare un’analisi sul presente ma non si esaurisce in nessun modo in un resoconto realistico dei giorni nostri, ma un sottile sguardo sul decadimento volgare di una città simbolo e forse anche di un Paese.
Tutti i personaggi si muovo in un tempo indefinito, quasi un contro-tempo, spesso notturno, e tutti scelgono di non vivere e di crogiolarsi nel senso indefinito di vacuità tra cui splendide emergono le figure di Romano e Ramona (sfiziosa gioco di nomi) interpretati da un insolito e drammatico Carlo Verdone e una bravissima Sabrina Ferilli.
Il sentimento e la bellezza vanno cercati anche in coloro che nella vita di tutti i giorni ci fanno una certa impressione o addirittura repulsione, il cinema di Sorrentino (innamorato da sempre dei suoi personaggi) permette questo meraviglioso gioco, di amare anche chi normalmente non è amabile ed il film prova a fare esattamente questo, a cercare la bellezza dietro lo squallore, il patetico e anche una certa volgarità.

Arriviamo infine all’annosa questione del paragone con il maestro Fellini e il suo affresco di Roma in quel capolavoro eterno che è La dolce vita (omaggiata volutamente con il cameo di Fanny Ardant in una scena in Via Veneto): il lungometraggio di Sorrentino non è un tentativo emulativo di richiamare quelle vette artistiche ma perlopiù una tensione ad ambire quelle cime pur essendo organicamente qualcosa di ben diverso e nonostante si muova negli stessi scenari e si cali nelle simili atmosfere decadenti dilettandosi in molte citazioni. Ambizioni legittime  per ogni regista cresciuto a pane e immagini e di conseguenza non una colpa. Qui non trattiamo certo di un capolavoro del cinema mondiale, ma  lasciatemi consentire di affermarlo: che grande bellezza, signori!


VOTO 7,5

mercoledì 5 giugno 2013

Il grande Gatsby

Regia di Baz Luhrmann
Produzione:  USA 2012 Warner Bros
Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Craig Pearce
Fotografia: Simon Duggan
Scenografie: Damien Drew, Ian Gracie
Musiche: Craig Armstrong
Montaggio: Matt Villa, Jason Ballantine, Jonathan Redmond
Con: Tobey Maguire, Leonardo Di Caprio, Carey Mulligan, Joel Edgerton

Durata: 142’








Della versione cinematografica dell’immortale romanzo di J. S. Fitzgerald da parte dell’eccessivo post-pop colorato di Baz Luhrmann se ne parlava ormai da anni, dopo varie tribolazioni produttive e distributive (annunciato per natale scorso e uscito a maggio) finalmente vede la luce la versione sontuosa e kitch del capolavoro della letteratura americana del novecento.

E mai progetto fu più ambizioso per l’eclettico regista australiano deciso a confrontarsi con uno dei sacri caposaldi della cultura letteraria a stelle e strisce in un percorso impervio e pieno di trappole. La sinossi è conosciuta ai più. Nick Carraway (Tobey Maguire) un giovane aspirante scrittore si trasferisce a New York di fronte la sontuosa villa di un misterioso milionario, Jay Gatsby (Leonardo Di Caprio) in cui ogni sera vengono date feste memorabili. La sofisticata cugina di Nick, Daisy (Carey Mulligan) sposata con un ex campione di polo milionario, nasconde un passato amoroso proprio con Gatsby e Nick sarà il tramite per il loro incontro a distanza di più di cinque anni.

Luhrmann torna a unire la sua cifra stilistica fatta di dramma e musica che gli ha relegato un posto comodo tra le nuove leve hollywoodiane dopo i fasti di Romeo + Giulietta e Mouline Rouge e reduce dal flop di Australia, in un kolossal pacchiano di ricchezza visiva ostentata e reiterata.
Tolto il lungo incipit d’apertura, espediente inutile e evitabile, la prima mezz'ora scorre via come un lungo sorso di champagne giù per la gola, gradevole e seducente.

Tutta la gigantesca macchina scenica ed i suoi ingranaggi narrativi funzionano alla perfezione, e raggiunge lo zenith con le celebri scene della feste ambientate nella fastosa villa di Gatsby. Poi inspiegabilmente proprio quando entra in scena Di Caprio-Gatsby il film sembra perdere quota e invece che spingere sul pedale dell’estro e della magnificenza visiva il buon Baz si siede, i movimenti di macchina acrobatici e insistiti si attenuano mantenendo la velocità di crociera del racconto dal taglio quasi “classico” se non stessimo parlando di un istrionico regista esteta pop della settima arte.
Sembra quasi che la materia letteraria imponente scivoli tra le mani di Luhrmann, intimorito da tanta autorevolezza e si lasci andare a manovre caute e accomodanti.
Non che non funzionino, sia chiaro, tutto brilla di luce propria, compreso Di Caprio che tenta di contenere la propria verve al servizio della storia in maniera egregia ma l’audacia registica viene meno conservando le dinamiche narrative originali del libro (poco male) e dirigendosi mestamente verso un finale il cui colpo di coda è un sussulto piacevole.

Non tutto combacia alla perfezione, il tema principale del guardare da dentro e al contempo guardarsi al di fuori secondo il punto di vista di Nick non è quasi mai pienamente raggiunto e la Mulligan poco adatta al ruolo, ma il castello d’immagini non crolla neanche sotto il peso di tanta aspettativa. Un buon prodotto cinematografico che non tradisce eccessivamente il romanzo ed è forse questo sia il pregio migliore che il peggior difetto della pellicola.
Da Luhrmann ci si aspettava francamente qualcosa di più ardito forse, ma che bellezza per gli occhi, fatuo ed effimero come fuochi d’artificio che una volta finiti si dimenticano presto.


VOTO 6

venerdì 22 marzo 2013

Re della terra selvaggia


Regia: Benh Zeitlin
Distribuzione: Fox Searchlight
Sceneggiatura: Benh Zeitlin, Lucy Alibar
Fotografia: Ben Richardson
Montaggio: Affonso Golçalves, Crocket Doob
Costumi: Stephani Lewis
Scenografie: Alex DiGerlando
Musiche: Benh Zeitlin, Dan Romer
Con: Quvenzhané Wallis,
Durata: 93'









Lungo, tortuoso e improbabile è stato il cammino di questa opera prima di Benh Zeitlin, nuovo enfant prodige del cinema americano, che lo ha condotto sino al salotto di casa Obama che lo ha insignito di miglior film dell'anno e poi da outsider sino a Los Angeles alla notte degli oscar dove la sua creatura cinematografica concorreva in quattro categorie tra cui quelle principali di miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista.
Un budget irrisorio, la scelta coraggiosa e insolita di girare nel formato raro del 16mm insieme ad una piccola troupe professionale e l'aiuto di decine di residenti locali in Lousiana, avvalersi di un gruppo di attori non professionisti sui quali svetta la piccola e straodinaria Quvenzhanè Wallis, 6 anni all'epoca delle riprese (mentì sull'età per partecipare ai provini e attrice più giovane di sempre ad ottenere una nomination agli oscar), e inoltre colonna sonora maestosa e aggraziata composta dallo stesso Zeitlin insieme all'amico Dan Romer, sono gli ingredienti del successo di questo piccolo gioiellino che ha esordito al Sundance Festival vincendo il Gran premio della giuria.
Successivamente trionfa sulla croisette di Cannes dove nella sezione Un certain regard si aggiudica la Camera d'or e da lì in poi premi e riconoscimenti in tutto il mondo.

Lo script è semplice e originale al contempo, e narra da un punto di vista infantile le vicende di Hushpuppy, una bimba che abita con il padre malato Winky in una piccola comunità tagliata fuori dal mondo civilizzato, al contatto con la natura nel villaggio chiamato Bathub “La grande vasca” in un tempo in cui i ghiacciai si stanno sciogliendo, permettendo ad antiche creature preistoriche chiamate Aurochs di ridestarsi, i livelli dei mari stanno salendo e gli uragani diventano sempre più catastrofici. In questo scenario apocalittico la piccola Hushpuppy dovrà imparare a sopravvivere in quel mondo selvaggio, senza abbandonarlo e diventarne un giorno la regina. Ma prima deve trovare la madre che non ha mai visto e parte alla sua ricerca.

Con i contorni di una favola allegorica di matrice ambientalista Benh Zeitlin ci accompagna in un percorso farcito di realismo magico, in cui i contorni tra fiaba e realtà si mescolano e compenetrano con una cifra stilistica che s'inerpica leggiadra sul filo che divide la poesia dalla retorica. Estasi di immagini sincere e sontuose che donano quell'aurea di autenticità che permea la pellicola, un po' parabola dell'umanità e un po' racconto di formazione immaginifico enfatizzato dal toccante voiceover alla Malick che imbelletta e seduce restituendo allo spettatore dopo la visione una leggera carezza all'animo.
Una piccola storia che diviene racconto universale, struggente che ammalia e sussurra all'intimo di ognuno di noi.


VOTO 8

mercoledì 20 febbraio 2013

Flight


Regia: Robert Zemeckis
Distribuzione: Universal Pictures
Sceneggiatura: John Gatins
Fotografia: Don Burgess
Montaggio: Jeremiah O'Driscoll
Costumi: Louise Frogley
Scenografie: Nelson Coates
Musiche: Alan Silvestri
Con: Denzel Washington, Kelly Reilly, Don Cheadle, John Goodman
Durata: 138'








Whip Whetaker è un pilota di linea con un grave problema di alcolismo. Dopo una notte di bagordi con una sexy hostess il comandante si prepara ad affrontare l'ennesima tratta aerea, ma il volo che doveva essere una tranquilla corsa verso Orlando si trasforma in un incubo, l'aereo perde i comandi e comincia a precipitare. Il comandante è costretto ad una manovra d'emergenza spettacolare ed improbabile ma sorprendentemente efficace che gli permette di concludere un atterraggio di fortuna lontano dal centro abitato salvando novantasei persone a bordo perdendone solo sei. Eroe di stampa e pubblico Whitaker dovrà vedersela con le indagini interne della compagnia aerea che dovrà capire i motivi della sfiorata tragedia.

Perduto da un decennio oramai nei meandri della motion capture - tecnologia a cui ha contribuito ad affinare e fare evolvere - con la trilogia animata (Polar Express, La leggenda di Beowulf e A christmas Carol) Robert Zemeckis rinsavisce e finalmente torna al cinema classico, quello che ne ha decretato il successo presso il grande pubblico e pioggia di nomination agli oscar con pellicole oramai di culto come la trilogia di Ritorno al futuro, Forrest Gump, Chi ha incastrato Roger Rabbit? e Cast Away solo per citarne alcuni.

La storia del pilota eroe, perseguitato dai suoi demoni interiori è dominata dalla figura imponente di Denzel Washington, in una delle migliori interpretazioni di sempre, condita dalla nomination all'oscar per il ruolo, che dà corpo e anima ad un personaggio in conflitto con la propria natura alle prese con un lento e lungo cammino di accettazione e comprensione in una parabola introspettiva intensa e sofferta, che deraglia spesso e volentieri dai binari classici del genere, grazie all'ottima sceneggiatura del giovane John Gatins impreziosita dalle inquadrature ardite e a tratti sperimentali del mai domo Zemeckis che a sessantun'anni impartisce ancora lezioni di cinema, quello con la C maiuscola, ai giovani cineasti e cinefili. 

Inutile dire che tutto ruota attorno a Denzel Washington, ma anche i comprimari riescono a ritagliarsi ruoli piccoli ma convincenti, dalla bella e tossica Kelly Reilly, l'altero avvocato Don Cheadle e soprattutto uno strepitoso John Goodman che quando irrompe sulla scena oscura tutto e tutti.
La regia di Zemeckis è istrionica ed ambivalente: da una parte la tensione catastrofica e spettacolare, dall'altra l'intima, sofferta e ferma focalizzazione sulla discesa agli inferi del suo personaggio. Due ore di puro cinema, un volo cinematografico il suo quasi perfetto senza turbolenze, con alcune sequenze indimenticabili che diventeranno presto un cult.
Bentornato tra gli umani in carne ed ossa Robert, ci eri mancato, davvero.


VOTO 7,5

venerdì 18 gennaio 2013

I migliori film del 2012

SKYFALL di Sam Mendes
Nell'anno dei cinquantesimo anniversario della saga cinematografica più longeva dell'agente segreto più famoso di sempre (ventitré film per la precisione), le redini vengono affidate ad uno dei più talentuosi registi del panorama mondiale, quel Sam Mendes che riannoda i fili del passato di James Bond, in un film raffinato, autoriale e intenso senza pagare dazio allo spettacolo e i crismi propri del genere. Con un Daniel Craig ormai assurto come l'unico Bond cinematografico possibile, forse il migliore di sempre.


QUELLA CASA NEL BOSCO di Drew Goddard
“La parola fine su tutti gli horror sulle case stregate”. Dietro l'esordiente Drew Goddard si cela il demiurgo Joss Whedon, in un atto d'amore verso il genere e un regalo sottile di citazioni e situazioni ai fan del genere. Nonostante il pessimo doppiaggio italiano la pellicola è un piccolo compendio di sangue, pieno di sorprese e suspense, dire di più sulla trama sarebbe un delitto.
L'anno zero per l'horror.


SHAME di Steve McQueen
Spiazzante, intenso, malato eppure di una bellezza sconvolgente. L'opera seconda di Steve McQueen colpisce per la potenza delle immagini, gli splendidi piano sequenza, la cura maniacale di ogni ripresa e la bravura ancestrale del suo attore feticcio Michael Fassbender si magnificano nel descrivere le pulsioni sessuali di un uomo denudato della propria dignità, una discesa negli inferi della sex addiction che è un'opera d'arte intima, coraggiosa e controversa.


VITA DI PI di Ang Lee
Dall'omonimo libro di Yann Martel, considerato dai più infilmabile, l'autore cinese Ang Lee riesce nell'impresa di tradurre in immagini l'avventurosa vicenda di Piscine Patel e incantare con una rapsodia affascinante ed ipnotica di soluzioni visive poetiche ed evocatrici con un uso incisivo e compiuto del vituperato 3D utilizzato finalmente come linguaggio e non come mero espediente. Un film che è una festa in primis per gli occhi nonché una parabola delicata, semplice e intelligente per l'anima .

LA TALPA di Tomas Alfredson
Spy story classica tratta dal best seller di John LaCarré “Tinker tailor soldier spy” diretta impeccabilmente dal regista svedese Tomas Alfredson è un gioiellino dall'impalcatura narrativa precisa che si dipana attraverso l'annodarsi differenti registri stilistici, saccheggiando il cliché delle spie ciniche e malinconiche e attingendo al climax del maestro Hitchcock . Trama intricata, complessità dei personaggi, inquadrature millimetriche, atmosfera fulgida, cast formidabile questi gli ingredienti di un film dal meccanismo e la coralità perfetta. Il cinema nella sua pura quintessenza.

YOUNG ADULT di Jason Reitman
L'accoppiata vincente tra il regista figlio d'arte Jason Reitman e la sceneggiatrice Diablo Cody torna ad indagare i meandri della middle-class americana con una anti-commedia acida e politicamente scorretta come la ghost-writer anti-eroina per eccellenza interpretata dalla bellissima Charlize Theron, tutta giocata su contrasti stilistici e visivi che de-costruisce gli archetipi del genere capovolgendoli del tutto grazie ad un personaggio femminile a tutto tondo come non se ne vedevano da tempo sul grande schermo. Tutti invecchiano, ma nessuno cresce.

HUGO CABRET di Martin Scorsese
Una sfida interessante anzitutto perché il regista di culto Martin Scorsese si cimenta con un film indirizzato ad un pubblico giovanile.
La passione viscerale per il cinema viene sciorinata in ogni inquadratura, cimentandosi con le nuove tecnologie digitali e tridimensionali, con cui indica soluzioni e potenzialità del nuovo mezzo. Dirige un opera contemporanea farcita di allusioni e citazioni ad un tempo perduto, un omaggio sincero e potente alla Settima Arte
Omaggiare Meliés, è un monito e sussurro di non abbandonare lo stupore e la meraviglia a cui il cinema sottende.

QUASI AMICI di Olivier Nakache e Eric Toledano
La vera sorpresa dell'anno è questa commedia francese campione d'incassi in patria (con cifre da record) ed anche da noi è stata un successo al botteghino mettendo d'accordo pubblico e critica. Una formula tutto sommato semplice e garbata ma priva della spocchia buonista e perbenista di quelle nostrane, capace di scaldare i sentimenti e di garantire risate intelligenti. Tutto ciò di cui noi italiani eravamo famosi nel panorama cinematografico mondiale e che abbiamo dimenticato a fare.


THE AVENGERS di Joss Whedon
Il blockbuster dell'anno, il progetto principe della Marvel ha messo d'accordo tutti e riacceso l'interesse del pubblico verso il cinecomic. Gli incassi da record hanno premiato la bravura del regista nerd Joss Whedon vero artefice del successo della pellicola capace di gestire con saggezza e toni da commedia un cast corale di prime donne, dando equilibrio e maestosità alle sequenze topiche d'azione. Capostipite di una nuova ondata e generazione di blockbuster fumettistici giusto mix tra l'autorialità di Nolan e la spettacolarizzazione ludica di Michael Bay.

TED di Seth Macfarlane
Il ragazzo prodigio Seth MacFarlane, autore noto sul piccolo schermo per aver creato I Griffin, compie il grande passo con il cinema e ne esce un film politicamente scorretto come nelle sue corde d'autore irriverente, sboccato e cinico.
Tutti gli ingredienti che avevano reso popolari i personaggi delle sue serie televisive sono condensate nell'orsacchiotto volgare e scorbutico divenuto già icona, metafora neanche troppo sottile sui bimbi prodigio, la gestione del successo ed il conseguente declino che nessuno ha compreso. La commedia che i fratelli Farrelly non riescono più a fare.

 MOONRISE KINGDOM di Wes Anderson
Il tocco sgargiante di Wes Anderson torna con tutto il suo ambaradàn cinematografico, colori pastello in kodachrome, scenografia vintage attenta nei minimi dettagli, attori feticcio, musiche diegetiche per placare il pubblico adorante di devoti cinefili. Anche questa volta coglie nel segno con una storia d'amore tra dodicenni, un autore colto, bohemienne che si conferma come uno dei migliori talenti cristallini della settima arte, sempre a metà strada tra commedia e dramma senza disdegnare nemmeno un compiaciuto briciolo di autoreferenzialità che perlopiù rassicura piuttosto che svilire la poetica del genietto texano.

ARGO di Ben Affleck
Attore così così, bravo sceneggiatore, magnifico regista. In sintesi questa la vita artistica dell'enfante prodige hollywoodiano Ben Affleck che con questa pellicola esalta tutte le sue qualità intravista nei suoi due ottimi precedenti lavori. Un film solido come il legno di quercia, avvincente e pregiato come i bei film americani di una volta, capace di giocare con i registri stilistici, arricchendo in punta di cinepresa i tratti psicologici e i risvolti umani dei personaggi puntellati da virtuosismi interpretativi di un cast d'eccezione ben diretto.


AMOUR di Michael Haneke
Probabilmente il miglior film dell'anno. Straziante, sincero, lucido, laico e sincero. Il registra austriaco Michael Haneke sbanca Cannes narrando la storia d'amore tragica eppur delicata di una coppia ottantenne, interpretata da due icone d'oltralpe come Jean Luis Trintignant e Emmanuelle RivaArte cinematografica pura, cruda, primordiale, feroce e dannatamente vera.
L'amore così com'è, non così come deve essere. Un film raro e potente come solo il cinema, in quanto arte, sa raccontare.