mercoledì 22 dicembre 2010
Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni
martedì 14 dicembre 2010
The social network
giovedì 25 novembre 2010
Once
E’ insolita la scelta di un film che parla d’amore scegliendo con tratto minimale e documentaristico di farlo principalmente attraverso la musica, creando una sorta di musical atipico.
John Carney ci regala questo piccolo gioiello cinematografico narrando una vicenda che ha molti tratti autobiografici, e nel quale la colonna sonora diviene anche sceneggiatura, instaurando un legame accattivante ed imprescindibile tra storia e musica, lasciando a quest’ultima spesso la priorità di accompagnare le situazioni più coinvolgenti, riuscendo a caricarle emotivamente ed a descriverle in maniera più incisiva che con le parole.
Le riprese son state fatte con la macchina da presa a mano, con l’uso di luci naturali anche di notte,le inquadrature risultano naturali l’obiettivo con discrezione non aggredisce mai l’intimità che s’instaura tra i protagonisti,quasi a non voler rompere l’incantesimo o disturbare.
Il regista irlandese si avvale della convincente prova attoriale del muscista Glen Hansard, frontman di una band dublinese nella quale militava anche anch’egli: i The Frames, e Marketa Iglova anche lei musicista, entrambi attori non professionisti.
Stupisce ed emoziona questo pellicola costata solo 100.000 euro, in selezione al Sundance Festival,e capace di vincere un Oscar per la migliore canzone originale “Falling slowly”.
Si crea un’alchimia delicata e sincera tra note ed immagini, che inebria e culla lo spettatore consegnando al silenzio tutta la poesia e la malinconia di due solitudini che s’incontrano, si sfiorano e si abbandonano.
lunedì 15 novembre 2010
Last Night
lunedì 25 ottobre 2010
L'amore non basta
giovedì 21 ottobre 2010
Watchmen
L’orologio dell’apocalisse segna cinque minuti a mezzanotte, quando si diffonde la notizia che qualcuno ha ucciso un vecchio supereroe in pensione, il Comico, appartenente alle cosiddette ‘Maschere’ ormai da anni fuorilegge, considerati dei Vigilantes. L’ex guardiano mascherato Rorschach è determinato a svelare un complotto che ritiene sia mirato ad uccidere e screditare tutti i supereroi passati e presenti.
Dopo aver con difficoltà radunato la legione di suoi ex colleghi combattenti contro il crimine: Gufo Notturno, Spettro di seta, Ozymandias e Dottor Manhattan (l’unico ad avere poteri reali), scopre un’ampia ed inquietante cospirazione che ha legami con il loro comune passato, ma soprattutto potrebbe produrre catastrofiche conseguenze nel futuro.
La missione è vegliare sull’umanità, ma chi veglierà sui Watchmen?
Prima di parlare del film è doveroso e quanto meno opportuno considerare la graphic novel Watchmen da cui è tratta, la più celebre ed acclamata di tutti i tempi, che sta al fumetto come la bibbia sta al libro, opera del genio visionario di Alan Moore (disegnata da Dave Gibbons), che considerava “infilmabile” e come nelle precedenti trasposizioni cinematografiche delle sue opere (V per Vendetta, From Hell, La lega degli straordinari gentleman) ha chiesto di non comparire nei crediti e lasciato la sua parte di guadagni a Gibbons.
Ad oggi l’unico fumetto ad aver vinto un Premio Hugo e ad essere inserito nella lista del Time Magazine tra i migliori “100 romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi” e che ha portato il genere ai massimi livelli espressivi, opera ambiziosa e complessa ed impossibile da analizzare in poche righe.
Di fronte ad un’impresa considerata dallo stesso autore impossibile, che ha avuto una genesi lunga vent’anni, passata e poi sfuggita tra le mani di grandi registi quali Terry Gilliam, Paul Greengrass e Darren Aronofsky, fino ad approdare al talentuoso Zack Snyder, il lavoro si considerava arduo ed impervio sin da subito.
Il regista americano, celebrato nel precedente lavoro 300 , anch’esso tratto da una graphic novel di culto, sembra quasi incerto nel prendersi la responsabilità di trarre ispirazione dal fumetto oppure rimanervi fedele. Optando per una sostanziale fedeltà all’originale, quantomeno nell’immaginario e nelle atmosfere, e venendo meno invece per quanto riguarda la natura dell’opera che nulla aveva di spettacolare, esasperando le scene di azione pur di pagare tributo alla cinematograficità della narrazione, cambiando e dilatando decisamente il finale, poco in linea con la soluzione adottata nella graphic-novel, ma recuperato nella director's cut.
Ciononostante il contributo visivo ed estetico è straordinario, che appaga le atmosfere cupe e violente tipiche di Moore, e che ai più forse risulterà indigesta, in un mondo profondamente immerso nella paranoia imperante degli anni 80, in bilico tra i timori di una guerra nucleare imposti dalla Guerra Fredda ed un mondo i cui eroi sono senza poteri, discriminati ed imperfetti, de-costruendo l’archetipo del supereroe classico; alcune scene sono memorabili grazie ad una colonna sonora azzeccata che esalta i frangenti più coinvolgenti.
Certo è che un pubblico abituato alle magnificenze e spettacolari imprese dei supereroi più celebri del grande schermo, tutto ciò apparirà incomprensibile e distante (specie ai più giovani) compresa la durata sostanziosa della pellicola, il cinismo e lo storicismo di cui è permeata, e la difficile comprensione dovuto all’ampio uso di simboli, dialoghi con diversi livelli d’interpretazione, ucronia, meta-narrazione e l’imponente comparto di temi trattati e riferimenti storici e politici.
In definitiva ne vien fuori un lavoro coraggioso i cui meriti ne costituiscono paradossalmente anche i suoi limiti, a cui manca il guizzo geniale per renderlo un capolavoro ma che ha le caratteristiche proprie di un ottimo prodotto cinematografico, un blockbuster ma d’essai. Impavido
VOTO 7,5
martedì 19 ottobre 2010
A single man
mercoledì 13 ottobre 2010
Adventureland
domenica 10 ottobre 2010
Inception
venerdì 8 ottobre 2010
Rachel sta per sposarsi
martedì 5 ottobre 2010
Two lovers
lunedì 27 settembre 2010
Fratelli in erba

Regia di Tim Blake Nelson
Produzione: USA 2010 Eagles Pictures
Sceneggiatura: Tim Blake Nelson
Fotografia: Roberto Schaefer
Scenografie: Maria Nay
Musiche: Jeff Danna
Genere: Drammatico
Con: Edward Norton, Tim Blake Nelson, Susan Sarandon
Durata: 105’
Bill e Brady sono due gemelli identici nell'aspetto ma quanto più possibile diversi nella sostanza. Entrambi educati da una madre sessantottina e orfani di padre, affrontano la vita con due diverse concezioni e stili di vita. Brady rimane con la madre in Oklahoma, diventando un coltivatore di marijuana, mentre Bill intraprende la carriera universitaria come brillante professore di filosofia classica, obliando nel cassetto dei ricordi e senza troppi rimorsi la propria famiglia. Quando Bill riceverà la notizia della morte del fratello si troverà costretto a tornare a Little Dixie, il paese natìo dove dovrà confrontarsi con il proprio passato ed i suoi cari.
Tutto fa presagire ad una classica commedia degli equivoci, a partire dal titolo storpiatamente tradotto dall'originale Leaves of grass che sta sì per “foglie d'erba” ma allude al titolo di una raccolta di Walt Whitman, e proseguendo con il doppio ruolo in cui Edward Norton si cimenta, topos classico di tanto cinema che farebbe pensare ad una serie infinta di gag e situazioni paradossali, ed in un certo senso è così ma il film di Tim Blake Nelson mira più in alto. Infatti se la prima parte sembra confermare le impressioni iniziali, nel proseguio il tono da commedia si sporca sorprendentemente di noir di matrice tarantiniana e dalle atmosfere tipicamente coheniane.
Uno dei pregi di questa pellicola oltre al ritmo sincopato che coinvolge lo spettatore è rappresentato dall'ottimo cast in cui figurano la sempreverde Susan Sarandon nel ruolo della madre ex sessantottina, l'affascinante Keri Russel nei panni di una poetessa e l'irresistibile Richard Dreyfuss, lui che è ebreo sul serio, si diverte nella parte di un ebreo stereotipato. Lo stesso regista si ritaglia un ruolo interessante, interpretando Bolger uno dei migliori amici del fratello coltivatore.
La ricerca dell'equilibrio è la chiave di lettura dell'intera pellicola - tra Socrate e Whitman, tra caos e spontaneità, commedia e tragedia e la perenne ricerca della condizione di pace interiore e la sua natura illusoria - dando modo al regista di giocare con le aspettative degli spettatori mirando a spiazzarli innestando una serie di colpi di scena memorabili, farciti con dialoghi che spaziano dalla filosofia, alle droghe, alla poesia fino al non-sense.
Un piccolo film ambizioso che deve forse fin troppo alla sottile ironia ebraica di cui i fratelli Cohen sono i maggiori esponenti ma che riesce a ricavarsi uno scorcio di originalità fresca e ben costruita che non soffoca la pellicola evitando di farla cadere nel facile clichè del genere.
VOTO 6,5
mercoledì 22 settembre 2010
La solitudine dei numeri primi

Regia di Saverio Costanzo
Produzione: ITA 2010 Medusa
Sceneggiatura: Saverio Costanzo, Paolo Giordano
Fotografia: Fabio Cianchetti
Scenografie: Antonello Geleng
Musiche: Mike Patton
Genere: Drammatico
Con: Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Isabella Rossellini
Durata: 118’
Alice e Mattia, due coetanei le cui esperienze tragiche vissute nell'infanzia producono un trauma che non li abbandonerà mai, influenzando in modo pesante e permanente le loro vite. Potrebbero amarsi, si sfiorano e si separano. Non consentono a se stessi di ritrovarsi ed insieme concedersi ciò che si sono sempre vietati ed inflitti. Come due numeri primi sono divisibili solo per uno o per se stessi e quindi destinati alla solitudine.
Saverio Costanzo (Private / In memoria di me) porta in concorso a Venezia l'attesa trasposizione cinematografica del celebre romanzo d'esordio di Paolo Giordano (che partecipa alla sceneggiatura) - caso letterario del 2008 con più di un milione di copie vendute, nonché premio Strega e Campiello - ma sin da subito se ne discosta dalle atmosfere e nella materia portante, destrutturandolo a partire dalla linearità narrativa che si alterna con continui salti temporali incentrati su tre periodi fondamentali delle vite grevi di Alice e Mattia.
La cifra stilistica adottata da Costanzo è netta e coraggiosa, una vicenda sentimentale tinteggiata di horror che s'innesta sin dalle prime battute - evidenziata da una colonna sonora curata da Mike Patton e sottolineata con una grafica ridondante - che sembra alludere a certe tensioni tipiche dei film di Dario Argento. Lo sguardo del regista si concentra sui corpi, deturpati e feriti, che mutano e e si plasmano in base al loro dolore, assurgendoli a veri protagonisti della vicenda, interpretati da una stupefacente Alba Rohrwacher e la sorpresa Luca Marinelli che imprimono sui loro corpi le fatiche di esigenze di copione estreme, donando veridicità assoluta ai loro personaggi.
Appare inevitabile che un autore così perentorio, con uno stile aspro e antinaturalistico che bandisce ogni sfumatura renda la pellicola estrema, cozzando con la materia scottante della popolarità del romanzo e ne risulti indebolita. Dall'altro canto le soluzioni adottate dal regista romano risultano affascinanti e farcite con dosi massicce di pathos e suspance che imprimono alla pellicola un sapore evocativo barocco e attraente, ma tutto rimane soffocato e imprigionato nella ricerca autoriale ed originale quasi ossessiva, finendo per implodere in se stesso.
Data la sua scelta di campo perentoria e precisa che deve far i conti con il peso specifico di una vicenda letteraria tanto amata, il film è destinato a dividere. L'abilità registica di Costanzo è palpabile e non ne esce intaccata, con angolazioni atipiche su tonalità cupe, impreziosite da stacchi netti e commenti sonori magistrali, ma viene sommersa dalla complessità psicologica del romanzo e dalla sua carica emotiva che si disperde lungo il racconto cinematografico discostandosene inesorabilmente.
VOTO 6
venerdì 3 settembre 2010
The Box

Regia di Richard Kelly
Produzione: USA 2009 Lucky Red
Sceneggiatura: Richard Kelly
Fotografia: Steven Poster
Scenografie: Alexander Hammond
Musiche: Owen Pallett
Genere: Thriller
Con: Cameron Diaz, James Mardsen, Frak Langella
Durata: 115’
USA, Virginia 1976. I coniugi Lewis si trovano in difficoltà economiche ma hanno la possibilità di ovviare ai loro problemi grazie ad una strana scatola consegnata il giorno prima da uno sconosciuto con il volto sfigurato, il signor Edwards. Lo strano individuo offre alla coppia un milione di dollari nel caso in cui nel giro di ventiquattro ore decidessero di premere il pulsante posto sulla scatola, conseguentemente però una persona a loro sconosciuta, nel mondo, morirà. In caso contrario, avrebbero solamente 100 dollari come rimborso per il disturbo recato, e la scatola verrebbe riprogrammata e proposta altrove.
Il talentuoso Richard Kelly, autore del film cult degli anni zero Donnie Darko, dopo l'ambizioso e deludente Southland Tales, flop al botteghino ed uscito solo in dvd da noi, ci riprova adattando per il grande schermo un racconto breve del geniale autore e sceneggiatore Richard Mateson, autore di quel Io sono leggenda trasposto al cinema qualche anno fa con protagonista Will Smith. Lo stesso script dell'autore è stato proposto negli anni 80 per il piccolo schermo nella famosa serie Ai confini della realtà. Kelly cerca di far sue le atmsofere paranoiche e claustrofobiche tipiche di Matheson - acuto e cinico indagatore dei limiti della morale e avidità umana- ma con scarsi risultati. L'impianto narrativo regge solo nella prima parte della pellicola, per poi perdere completamente il controllo successivamente ed impantanarsi infine in un pasticcio incomprensibile e patetico collocandosi a metà tra cinema di genere e film d'autore.
La qualità delle inquadrature è indiscutibile, ottime le scenografie e l'inquietante colonna sonora. A mancare qui non è certo l'impalcatura tecnica ma l'omogeneità narrativa che, noncurante della consequenzialità e logicità della storia, snatura e stravolge completamente l'intento dell'opera originale di Matheson, sfociando in grottesche scimmiottature alla Lynch, brancolando e barcollando in un accumulo di situazioni e stereotipi da fantascienza retrò, infarcendoli con discorsi filosofici sul libero arbitrio ed etica, tirando in causa persino Arthur C. Clarke e Jean Paul Sartre. Non aiutano e convincono oltremodo le interpretazioni degli impalpabili Cameron Diaz e James Marsden, e tocca al solito Frank Langella reggere la baracca recitativa.
Il plot narrativo viene risucchiato nella spirale della confusione e della noia, sprecando quanto di buono l'incipit aveva creato, con un occhio rivolto a certi film horror di culto anni 70. D'altronde la materia trattata si è rivelata nuovamente troppo ambiziosa e ricca di elementi, sfuggendo completamente al controllo del giovane regista americano che cerca di impreziosire con un lezioso egocentrismo autoriale che alla lunga stanca ed irrita. Ulteriore banco di prova mancato per uno dei più promettenti enfant prodige del nuovo cinema americano.
VOTO 5 Inconcludente
giovedì 24 giugno 2010
The Road

Regia di John Hilcoat
Produzione: USA 2009 Videa
Sceneggiatura: Joe Penhall
Fotografia: Javier Aguirresarobe
Scenografie: Robert Greenfield
Musiche: Nick Cave, Warren Ellis
Genere: Drammatico
Con: Viggo Mortensen, Kodi Smith-McPhee, Charlize Theron
Durata: 111’
La struggente storia di un padre e del proprio figlio costretti a sopravvivere in un mondo retrocesso ad uno stato primordiale post-apocalittico ed un'umanità che deve fare i conti con le conseguenze della propria feroce natura, sono alla base del bellissimo romanzo dello scrittore statunitense Cormac McCarthy, vincitore del premio Pulitzer nel 2007 e la cui trasposizione sul grande schermo è stata affidata al talentuoso outsider John Hilcoat (The Proposition) che ne dirige un adattamento fedele e crudele aderendo alle atmosfere gelide ed aspre presenti nell'universo letterario di McCarthy.
Di fronte alla compattezza narrativa e lo stile asciutto del romanzo, il regista australiano sceglie saggiamente di eclissarsi mettendosi al servizio della storia, sorretta come un titano mitologico dall'interpretazione eccelsa di Viggo Mortensen, mai così bravo, mai così intenso, qui alla sua prova migliore. Ambientazioni desolate e suggestive carrellate sui cupi scenari di un mondo che muore lentamente, fanno da cornice ai sofferti tentativi di un padre di proteggere il figlio da una vita che non ha più un futuro da offrire. Unica concessione di dolcezza è riservato al ricordo, negli inserti onirici memori di un passato recente che sferza più che alleviare.
E' un film cupo e intenso, che fa male, come ogni cosa sublime che squarcia le resistenze della nostra integrità e ci mette a nudo. Dopo essere stato accolto lo scorso anno alla Mostra del cinema di Venezia è stato a lungo tenuto lontano dai nostri schermi perché ritenuto dai produttori una pellicola troppo triste.
L'unica tristezza è che in un'Italia di cinepanettoni e moccianate le perle siano ricacciate nell'oceano e che continuino a brillare sottotraccia solo per i pochi che si immergono a scovarle, l'unica consolazione è che nell'imbarbarimento culturale di questa epoca, cinema compreso, la loro luce ci ricorda che c'è ancora una bellezza a questo mondo. Purché rara e purché celata. Forse l'unica maniera di possibile.
VOTO 8